Per la prima volta dal dopoguerra militari giapponesi sono impiegati all'estero (La rinascita del militarismo giapponese)
Il Giappone manda truppe in Iraq
Koizumi: "Andiamo a conquistarci il rispetto del mondo''
Il 27 dicembre una trentina di ufficiali, avanguardia del contingente militare giapponese, erano sbarcati in Iraq. Il 19 gennaio a bordo di otto mezzi blindati provenienti dal Kuwait altri militari hanno preso posizione nella cittadina di Samawa, a est di Bassora. Crolla così uno degli ultimi tabù del diritto internazionale, ridotto ormai ad un simulacro, in vigore dalla fine della seconda guerra mondiale, nonché della stessa Costituzione giapponese che all'articolo 9 vieta al paese del sud-est asiatico di possedere forze armate di qualsiasi tipo (tant'è che oggi si chiamano eufemisticamente "Forze di autodifesa'') e la stessa legge che il governo Koizumi ha approvato lo scorso luglio in cui si esclude espressamente la possibilità di inviare truppe in "zone di conflitto''.
Il 9 dicembre era stato lo stesso premier Koizumi con un discorso solenne, più di un'ora in diretta TV, poi una conferenza stampa, ad annunciare lo storico passo dell'invio per la prima volta dal dopoguerra di truppe armate all'estero in una zona di guerra. Il premier giapponese pur di non ammettere l'illegalità della decisione aveva insistito sul carattere "umanitario'' della missione, negando che l'Iraq sia un paese in guerra, "un paese disastrato, percorso da banditi e terroristi, che uccidono civili e persino diplomatici'' le sue parole, e sostenendo che solo facendo seguire alle parole i fatti il Giappone può rivendicare il ruolo che gli spetta nella comunità internazionale, conquistandone rispetto e prestigio. "Il rispetto - aveva affermato Koizumi - non si conquista pagando i conti, ma facendo scelte precise e dichiarandosi disposti anche a sacrifici supremi, come del resto hanno fatto sinora gli Stati Uniti ed altri 40 paesi che sostengono la coalizione''. E il 19 gennaio ha ribadito che la missione è "un dovere della nazione intera'', assicurando che i soldati porteranno avanti fino alla fine il compito loro assegnato "anche a costo di perdite di vite umane''. L'imperialismo giapponese oltre che su quello economico vuol iniziare a contare anche sul piano militare.
Insomma a partire da dicembre, e per un anno (con mandato che si presume rinnovabile) il Giappone potrà inviare da 600 a 1.000 uomini in Iraq equipaggiati con granate anticarro, lancia missili, bazooka dell'ultima generazione, supportati da unità navali, due cacciatorpedinieri armati di tutto in punto per "perlustrare'' il Golfo, mentre l'aviazione fornirà per ora 3 C130 da trasporto di stanza in Kuwait.
Consapevole del momento storico Koizumi aveva radunato in precedenza i leader dell'opposizione parlamentare e sei ex primi ministri, dal vecchio Nakasone, che negli anni '80 avviò il riarmo e coniò per il Giappone l'espressione "corazzata inaffondabile'', a Miyazawa, fino ai più recenti Hashimoto e Mori, per ottenere il più vasto consenso politico possibile, visto che anche gli ultimi sondaggi danno l'83% dei giapponesi contrario a qualsiasi operazione di guerra.