Emessa dal tribunale di Milano ( Il PM aveva chiesto 8 anni - Il plurinquisito Berlusconi )
Scandalosa assoluzione di Berlusconi
Prodi, Fassino, D'Alema e Bertinotti non commentano. La responsabile dei DS per la giustizia Finocchiaro: "Una buona notizia l'assoluzione del premier"
Prescritto il reato di corruzione del giudice Squillante

Il 10 dicembre, dopo 30 ore di camera di consiglio, il collegio giudicante del Tribunale di Milano presieduto da Franco Castellano, affiancato dai giudici Stefania Abbate e Fabiana Mastrominico, ha emesso la sentenza relativa al processo stralcio Sme che vedeva imputato Silvio Berlusconi per il reato di corruzione. Sentenza che ha mandato praticamente assolto Berlusconi da tutti i fatti che gli erano stati contestati dai pm Ilda Boccassini e Gherardo Colombo, che avevano chiesto per lui 8 anni di carcere senza la concessione delle attenuanti generiche.
Un verdetto scandaloso, che nega l'evidenza dei fatti appellandosi ipocritamente alla formula dell'"insufficienza di prove" fornita dall'articolo 530 comma 2 del Codice di procedura penale e, dove ciò non è stato possibile per il numero, la concordanza e l'inoppugnabilità degli elementi probatori, ha fatto ricorso alle attenuanti generiche, pur di prescrivere il reato ed evitare una giusta condanna all'imputato "eccellente".
Il testo della sentenza, infatti, assolve Berlusconi "perché il fatto non sussiste", cioè perché non è provato che la corruzione ci sia stata, in ordine al reato di corruzione a lui iscritto al capo B): vale a dire l'accusa di aver pagato il giudice Verde, assecondando le richieste del suo amico Bettino Craxi, allora presidente del Consiglio, per emettere la famosa sentenza sfavorevole a De Benedetti per la vendita dell'azienda alimentare pubblica Sme alla Buitoni.
Assolve inoltre Berlusconi "per non aver commesso il fatto" visto l'art. 530 c.2, cioè con la formula dell'"insufficienza di prove", dal reato di corruzione di cui al capo A) per il bonifico del 26 luglio 1988 di un miliardo di lire fatto dall'industriale Pietro Barilla ad Attilio Pacifico e da questi girato, dopo averne trattenuti 50 per sé, a Previti (850 milioni) e al giudice Squillante (100 milioni): fatto per il quale Previti, Squillante e Pacifico sono stati condannati un anno fa rispettivamente a 5, 8 e 4 anni di carcere in primo grado.
E con la stessa motivazione assolve l'imputato per gli altri fatti contestati di cui al capo A), cioè l'accusa di aver agito insieme a Previti e Pacifico per convincere Squillante a "vendere le sue pubbliche funzioni" agli interessi della Fininvest. In altre parole per i giudici la corruzione c'è stata, è stata fatta dai soci del premier (come del resto dimostra la sentenza di un anno fa), per scopi palesemente convergenti con i suoi interessi e desideri, ma non ci sarebbero prove sufficienti che vi sia coinvolto anche Berlusconi. Questa è la curiosa "logica" della sentenza milanese.

La scappatoia della prescrizione
Infine la sentenza "estingue per intervenuta prescrizione", riconosciute all'imputato le attenuanti generiche, il reato di corruzione per il fatto ("qualificato", cioè accertato) ascrittogli al capo A) relativamente al bonifico in dollari del 6-7 marzo 1991 pari a 500 milioni di lire, che da conti svizzeri riservati Fininvest furono trasferiti in poche ore al conto Mercier di Previti e poi sul conto Rowena di Squillante. Anche per questo bonifico Previti e Squillante erano stati condannati, rispettivamente a 5 e 6 anni, dal Tribunale di Milano un anno fa.
Dunque, almeno su quest'ultimo punto c'erano tutti gli elementi, provati oltre ogni possibilità di dubbio, per inchiodare l'imputato alle sue responsabilità, come aveva chiesto il pm Boccassini. Ciononostante il Tribunale non ha avuto il coraggio di applicare la legge senza guardare in faccia a nessuno, e ha voluto graziare l'imputato facendo ricorso alle attenuanti generiche, che abbassando i tempi della prescrizione hanno permesso l'escamotage della prescrizione del reato. Prescrizione che con tutta probabilità ci sarebbe stata lo stesso in appello, o in Cassazione, dato che essa sarebbe scattata comunque nella primavera del 2006. Senza contare la possibilità di un colpo di mano della maggioranza di governo per cambiare nel frattempo le regole del gioco, come una reintroduzione dell'immunità parlamentare o altri spudorati espedienti del genere.
In pratica il collegio giudicante ha ceduto alle minacce apocalittiche della difesa, secondo cui una condanna di Berlusconi avrebbe "cambiato la storia del Paese", e ha fatto propria la tesi mussoliniana del neoduce, che quando andò in Tribunale a rendere "dichiarazioni spontanee" si vantò di essere "più uguale degli altri cittadini", perché lo avevano votato gli italiani. Che senso ha, infatti, l'aver concesso le attenuanti generiche, presumibilmente perché "incensurato", a un imputato che ha mentito più volte in aula, come ha dimostrato la Boccassini, e che aveva già collezionato una sfilza di altre condanne per corruzione, falso in bilancio e altri reati contigui, tutte evitate o per scadenza dei termini o grazie a leggi ad personam da lui stesso promosse, come quelle sulle rogatorie e sul falso in bilancio?

Berlusconi intoccabile come Mussolini
Si dice che il giudice Castellano avesse espresso in passato "comprensione" per la Fininvest "perseguitata" dai giudici e dalla guardia di finanza. Comunque sia non c'è dubbio che mai come in questo caso si è visto un esempio clamoroso di applicazione della regola dei due pesi e delle due misure a beneficio di un imputato "eccellente". Resta il fatto di un reato gravissimo, come la corruzione di giudici, prescritto ma comunque accertato a carico del capo del governo, che dovrebbe bastare e avanzare per portare alle sue dimissioni. Invece Berlusconi, e tutta la Casa del fascio con lui, come pure i presidenti di Camera e Senato, ha esultato per la sentenza, che aspettava come un atto dovuto e che ha incassato alla stregua di un'assoluzione piena, come il riconoscimento della tesi da sempre sostenuta di una "persecuzione politico-giudiziaria" ai suoi danni da parte delle "toghe rosse".
"Meglio tardi che mai", ha commentato infatti con arroganza il neoduce, come se non fosse stato il suo amicone e coimputato Previti, con le innumerevoli istanze di ricusazione, e lui stesso con le infami leggi Cirami e Schifani, a boicottare e allungare il più possibile i tempi del processo per tirarsene fuori o almeno guadagnare la prescrizione! E già ha dato ordine, allarmato anche dalla sentenza di Palermo che ha condannato per mafia Dell'Utri, che la Casa del fascio si mobiliti per far approvare al più presto la legge salva-Previti e per presentare una legge di reintroduzione dell'immunità parlamentare. Come anche di dare precedenza assoluta in parlamento alla controriforma della giustizia, nel caso Ciampi non dovesse firmarla, per spezzare una volta per tutte le reni alla magistratura e sottometterla al governo.
Ma che Berlusconi si consideri al di sopra e al di là della legge non ci stupisce. Anzi è perfettamente coerente col personaggio: non per nulla diciamo che egli è il nuovo Mussolini, e che ha reintrodotto il regime fascista sotto altre forme e altri vessilli, quantunque ci si ostini a negare questa evidenza. Stupisce invece - ma fino a un certo punto, se si pensa all'atteggiamento miope e suicida dei partiti borghesi e riformisti nella prima metà degli anni '20 di fronte all'ascesa di Mussolini - che le sue dimissioni non vengano chieste neanche dall'"opposizione", salvo (e peraltro molto debolmente) Di Pietro e Diliberto.
Anzi, i principali leader della "sinistra" borghese della Gad, da Prodi a Fassino, da D'Alema a Bertinotti, non solo non le chiedono, ma hanno evitato accuratamente persino di commentare la sentenza, e in qualche caso si sono pure vantati di questa omertà, come hanno fatto il rinnegato presidente della Quercia e il trotzkista Bertinotti che ha dichiarato: "Abbiamo fatto bene a mantenere il silenzio (sulle sentenze Berlusconi e Dell'Utri, ndr), non solo per una ragione deontologica, ma perché mette ancora più in evidenza l'autonomia del giudizio della magistratura. La politica non deve commentare le sentenze" (sic!). Quando non hanno addirittura espresso soddisfazione per la "sentenza di assoluzione del presidente del Consiglio": come ha dichiarato la responsabile DS per la giustizia, Anna Finocchiaro (lodata per questo dal piduista Cicchitto), aggiungendo che la sentenza è "una buona notizia" perché è "un bene non avere un premier condannato per un reato gravissimo".

15 dicembre 2004