Guevara e la lotta contro il capitalismo per il socialismo
Il 9 ottobre cade il 50° anniversario della morte di Ernesto “Che” Guevara, assassinato in Bolivia nel 1967 dall'esercito del regime fantoccio degli Usa allora al potere.
Noi tutto quello che potevamo dire sul suo pensiero e sulla sua opera l'abbiamo detto attraverso l'importante editoriale del Segretario generale del PMLI Giovanni Scuderi, dal titoto
Dove porta la bandiera di Guevara,
pubblicato su “Il Bolscevico” n. 36 del 12 ottobre 1995, che resta di grande valore e attualità per avere una visione critica marxista-leninista e di classe del guerrigliero argentino.
Per l'occasione, i trotzkisti e sedicenti organizzazioni comuniste, fino ai media e a personalità borghesi, ne hanno rilanciato la figura e l'opera, già esaltate come modello per i giovani comunisti negli anni novanta dai “rifondatori” neorevisionisti alla Bertinotti. Che, a differenza peraltro di quanto fa Scuderi nel succitato editoriale, quasi mai gli danno la parola o ne studiano le opere, ma puntano tutto sul fascino della sua figura e sulla drammaticità della sua morte: lo recuperano cioè come un guscio vuoto, salvo poi, nella pratica, aborrire la rivoluzione e seguire il riformismo e il parlamentarismo.
Infatti è di “mito”,
non di figura storica, che parla per esempio Luciana Castellina dalle colonne del “manifesto” trotzkista del 6 ottobre che gli ha dedicato uno speciale di 16 pagine dove appunto non compare una citazione dalle opere politiche di Guevara che sia una, e che tuttavia non si risparmia nel lodarlo come “pensatore marxista eretico”
e nello spiegare che “piace perché ad oggi troppo spesso il potere ha finito per degenerare. Lui invece si è fermato prima”,
rimasticando la vecchia tesi borghese e trotzkista della rivoluzione destinata storicamente alla sconfitta o alla degenerazione. Un'analoga operazione l'ha compiuta il giorno stesso il gruppo “L'Espresso” del magnate della finanza e dell'editore Carlo De Benedetti dedicando a Guevara un lussuoso libro di carta patinata con dovizia di foto a colori e in bianco e nero, dopo aver già pubblicato un “Venerdì di Repubblica” a tema qualche settimana fa.
Viene da chiedersi perché a Mao non sia stato riservato lo stesso trattamento nel 40° della scomparsa, pur essendo la sua statura storica, politica e ideologica ben superiore a quella di Guevara. E perché a Lenin e la Rivoluzione d'Ottobre siano riservati cumuli di menzogne e illazioni senza un minimo dell'entusiasmo con cui è accolto il 50° di Guevara. Evidentemente la borghesia, col costante assist dei revisionisti e dei riformisti, sa scegliere bene le sue carte per difendere il suo potere e confondere le idee a chi contesta il suo sistema economico capitalistico. Per questo mette in luce i “rivoluzionari” che non le nuocciono mentre oscura i veri rivoluzionari che la combattono realmente. È il caso di Mao, di Lenin e anche del PMLI di cui fin qui non trapela nulla sui media, nemmeno la posizione che ha assunto a suo tempo su Guevara tramite l'articolo citato del Segretario generale del Partito.
Studiare l'esperienza storica della rivoluzione proletaria, della dittatura del proletariato e delle guerre di liberazione nazionale è essenziale per capire qual è la strada giusta da percorrere, non ripetere gli errori commessi in passato ed evitare scorciatoie e strade dimostratesi fallimentari. Dobbiamo uscire dalla dimensione del “mito” e “dare a Guevara quel che è di Guevara”, riconoscendo i suoi meriti ma criticando apertamente i gravi errori e facendo luce sulle cause. Anzi, la vicinanza fra l'anniversario della morte del Che e il centenario della Rivoluzione d'Ottobre ci dà l'occasione di compiere un confronto fra il suo pensiero e operato e la via dell'Ottobre.
La vita, le imprese rivoluzionarie e il socialismo a Cuba
La vita e il pensiero di Guevara sono strettamente connesse e trovano espressione nella sua condotta rivoluzionaria, a partire dalla rivoluzione cubana.
Ernesto Guevara nasce il 14 giugno (maggio secondo nuove ricerche) 1928 a Rosario, in Argentina, da famiglia medio-borghese. Dallo spirito ribelle e impetuoso, nel 1951 parte con l'amico Alberto Granado nel famoso viaggio in motocicletta attraverso l'America Latina. Qui vede la miseria e lo sfruttamento delle masse del continente e ciò sviluppa in lui uno spontaneo senso di insofferenza verso l'ingiustizia sociale. Vede coi suoi occhi le ingerenze imperialiste ed è in Guatemala quando un golpe sponsorizzato dagli Usa depone il locale governo riformista nel 1954. In quell'anno, a Città del Messico, conosce prima Raul e poi Fidel Castro, esuli, che segue nel 1956 a Cuba come membro del Movimento 26 Luglio per organizzare la rivoluzione contro la dittatura di Fulgencio Batista.
La rivoluzione cubana, che Guevara definisce “la più genuina creazione dell'improvvisazione”,
lanciata da “uomini con scarsa preparazione politica”
animati dalla parola d'ordine “onore contro denaro” e ispirati a José Martí, leader della guerra di liberazione nazionale contro i colonialisti spagnoli a fine Ottocento, trionfa il 1° gennaio 1959. Non è quindi una rivoluzione socialista nella forma, tanto meno nella sostanza e negli obiettivi che si pone, ma una rivoluzione democratica borghese, antimperialista e antifascista. Solo quando gli Usa tentano di strangolarla e riportare l'isola sotto il proprio controllo, imponendo l'embargo il 13 ottobre 1960,
per Castro svanisce ogni velleità di sviluppo sotto il capitalismo e l'imperialismo: in risposta all'invasione della Baia dei Porci promossa da Kennedy e dell'offerta dell'Urss capitalista e revisionista di comprare lo zucchero cubano a prezzi stracciati, Fidel proclama improvvisamente il carattere socialista della rivoluzione cubana il 16 aprile 1961.
Ma il socialismo a cui guardano i dirigenti cubani non è quello autentico di Lenin e Stalin, in quegli anni difeso e applicato dalla Cina di Mao, bensì quello falsificato, distorto e burocratizzato di Krusciov e Breznev. Ed è questo lo pseudo-socialismo che anche Guevara contribuisce a costruire dai suoi importanti incarichi nel nuovo governo antimperialista, fra cui quello di presidente della Banca nazionale e
ministro dell'Industria. Lungi dall'opporsi da sinistra a Castro e dal diventare “filocinese”, come a volte si afferma, ne è il braccio destro e condivide tutte le sue scelte principali, riconoscendolo apertamente nella lettera di commiato scritta nel marzo 1965. Il suo biografo Jon Lee Anderson in una recente intervista a “la Repubblica” ribadisce che non vi fu alcuna rottura fra Guevara e i Castro, compreso Raul, ieri il più filosovietico e oggi ammiratore entusiasta della restaurazione del capitalismo in Cina che vuole replicare a Cuba. La sua ostilità verso la corruzione e il carrierismo e l'idea di un “uomo nuovo” libero dall'alienazione restano tratti democratico-borghesi che, per quanto lodevoli, restano nel novero delle belle intenzioni se non si traducono nella spinta a modificare realmente le relazioni di produzione e la base economica.
In generale, sul socialismo Guevara non tiene in considerazione gli insegnamenti di Marx, di Lenin e dell'Ottobre sulla necessità di rompere la vecchia macchina statale borghese per edificarne una completamente nuova e proletaria: del vecchio Stato, il governo rivoluzionario cubano eredita praticamente tutto, limato e riadattato. La classe operaia resta esclusa dal potere e l'industria è impostata secondo criteri manageriali, sottoposta a direttori d'impresa nominati dallo Stato. Non a caso Guevara esalta il “capitalismo imprenditoriale, con una distribuzione sociale dei profitti”
della Jugoslavia revisionista. Tra l'altro, se gli inediti pubblicati su “Liberazione” da Antonio Moscato sono autentici, emergerebbe un Guevara persino sprezzante e contrario ai sindacati nel socialismo, come lo era Trotzki all'indomani della Rivoluzione d'Ottobre, scontrandosi duramente con Lenin su questo punto, il quale li riteneva invece essenziali perdurando i conflitti di classe.
E pur avendo visitato sia l'Urss che la Cina, non prese mai posizione sul grande dibattito fra il revisionismo sovietico e i marxisti-leninisti ispirati da Mao, non ne capì la portata ideologica e storica. Col famoso discorso di Algeri del 25 febbraio
1965 critica sì l'Urss,
che poco prima aveva imposto a Cuba la monocoltura dello zucchero,
ma in modo impreciso, parlando genericamente di “Paesi socialisti […] complici dello sfruttamento capitalista”
e senza mai citare la lotta contro il revisionismo che aveva riportato la borghesia al potere in Unione Sovietica, benché di lì a poco non sarebbe più stato legato nemmeno a Cuba e alla sua sudditanza a Mosca.
Nell'aprile del '65, Guevara si reca in Congo con un manipolo di combattenti cubani per sostenere la guerriglia locale contro il governo fascista e filo-americano di Mobutu. Si illude di poter esportare la rivoluzione cubana replicandola meccanicamente in un Paese di cui non conosce le condizioni concrete, estremamente diverse, e dal cui popolo resta estraneo.
L'operazione fallisce in meno di un anno, ma Guevara ci riprova in Bolivia, a partire dal 1966, con l'appoggio di Castro. Ancora una volta però il gruppo guerrigliero che mette in piedi resta isolato e debole di fronte all'esercito regolare. Nessun tentativo per raggiungere e mobilitare la nutrita classe operaia di quel Paese. Gli stessi contadini restano perlopiù indifferenti a questa “rivoluzione” calata dall'alto. L'8 ottobre del '67 viene catturato da unità dell'esercito regolare dirette da agenti della Cia, forse informati dal KGB visto che l'Urss aveva forti interessi commerciali in Bolivia, e assassinato il giorno successivo.
Ribellismo romantico...
Gli scritti e l'operato di Guevara, sia nelle numerose attività rivoluzionarie cui partecipò che nella costruzione del “socialismo” a Cuba, ci dicono che questi, pur essendo un onesto combattente antimperialista e votato al “comunismo”, probabilmente con più sincerità di Castro, alla prova dei fatti non andava oltre una concezione piccolo-borghese del mondo, della rivoluzione e dello Stato socialista, peraltro inquinata dal trotzkismo verso il quale provava una certa attrazione. Chi nega quest'ultimo fatto dietro la nota con cui Guevara proponeva lo studio delle opere di Stalin a Cuba, dimentica che in quella stessa nota era pure per lo studio di Trotzki, e che furono i suoi libri quelli che si portò nelle successive avventure guerrigliere. Quello che conta comunque è se pensava e agiva da marxista-leninista.
Come scrive Scuderi, Guevara “non riesce a trasformare la propria concezione del mondo e a rigettare l'individualismo, l'idealismo e l'avventurismo di cui era impregnato. Anche perché la sua conoscenza del marxismo-leninismo è mediata dai revisionisti e dai trotzkisti come Mandel, Karol e Sartre. E inoltre perché non aveva alle sue spalle un partito marxista-leninista che lo aiutasse a proletarizzarsi, ad avere una concezione proletaria del mondo e ad applicare correttamente il marxismo-leninismo”.
Nei suoi scritti e nella sua prassi non c'è traccia delle preziose lezioni di Lenin sulla dittatura del proletariato, sulla preparazione della rivoluzione, soprattutto sulla costruzione del partito e sull'indispensabile lavoro per rendere il proletariato classe per sé, conscia dei propri obiettivi e della necessità storica di abbattere il capitalismo, affinché possa dirigere la rivoluzione e imprimerle un carattere veramente socialista. Tutto questo in Guevara è sostituito talvolta dall'imprevedibilità del movimento spontaneo, talvolta dalla velleità di poter imporre la rivoluzione ad altri Paesi senza le dovute condizioni oggettive e soggettive, quest'ultima mutuata dalla “rivoluzione permanente” di Trotzki, oscillando fra il revisionismo di destra e di “sinistra”.
La linea politico-ideologica decide tutto: da una linea sbagliata non può scaturire una pratica giusta. Come sottolinea Scuderi, “L'errore capitale di Guevara consiste proprio nel fatto di non aver capito la singolarità e l'eccezionalità della rivoluzione cubana e di aver dato ad essa un 'valore universale' e un 'contenuto universale' fino al punto di tentare di esportarla in prima persona”.
Ne consegue che, sul fronte della strategia e della tattica rivoluzionarie, Guevara non riconosce l'importanza primaria costituita dal partito rivoluzionario marxista-leninista e dalla classe operaia. Del resto a Cuba i guerriglieri non avevano avuto alcuna attenzione per la classe operaia, rimasta perlopiù spettatrice degli eventi, che pure diede un contributo forse decisivo con gli scioperi che paralizzavano le città mentre i guerriglieri conquistavano la campagna. Non parliamo poi del partito, fondato per decreto nel 1961 con dirigenti nominati personalmente da Castro.
Anzi, secondo Guevara il proletariato non può più esercitare alcuna funzione dirigente. A sostegno della sua tesi, cita gli esempi delle rivoluzioni in Cina, Vietnam e Cuba, ma il paragone è improprio. Come abbiamo già visto, il caso di Cuba era del tutto peculiare, frutto di condizioni particolari e irripetibili, non da ultimo un certo favore, almeno iniziale, da parte degli imperialisti Usa. Soprattutto, Guevara dimentica che in Mao – che pure aveva letto e incontrato a Pechino – è costante il riferimento alla classe operia come forza dirigente della rivoluzione, anche se i contadini erano la classe trainante dal momento che costituivano la maggioranza delle masse oppresse. Va qui aggiunto che in Cina il passaggio dalla fase di nuova democrazia, cioè la rivoluzione democratica compiuta alleandosi alla borghesia nazionale contro i rimasugli di feudalesimo e la borghesia burocratico-compradora, alla fase socialista, avvenne attraverso la mobilitazione del proletariato e la guida marxista-leninista del Partito comunista.
Per Guevara il nucleo della rivoluzione è la “avanguardia guerrigliera”, “piccola avanguardia mobile”
che “catalizzerà il fervore rivoluzionario delle masse fino a creare la situazione rivoluzionaria in cui il potere statale crollerà di un solo colpo”.
L'avventurismo è evidente, visto che questa idea non prevede alcuna analisi della situazione concreta, ma si illude di poter fare scoppiare la rivoluzione in qualsiasi momento, quasi meccanicamente, grazie all'”avanguardia guerrigliera”. Peraltro, senza lavorare pazientemente per conquistare l'appoggio delle classi rivoluzionarie, o peggio venendo calata dall'alto e dall'esterno, la guerriglia rimane isolata e vulnerabile alla repressione, come avvenne appunto in Congo e in Bolivia.
… o marxismo-leninismo?
La Rivoluzione d'Ottobre ha dimostrato che la classe operaia gioca il ruolo decisivo anche in un Paese arretrato e/o in condizione di minoranza dal punto di vista numerico. Quello che conta è la sua posizione all'interno delle relazioni di produzione capitalistiche, trattandosi della classe che produce la ricchezza del Paese e il profitto dei capitalisti tramite il plusvalore.
Sempre la Rivoluzione d'Ottobre e il leninismo insegnano anche la funzione indispensabile del partito rivoluzionario, fondato sulla teoria rivoluzionaria marxista-leninista, per dare al proletariato coscienza di classe e spostare le lotte operaie da un piano puramente sindacale e spontaneo verso un orientamento cosciente e anticapitalista. Una funzione che non può essere esercitata dalla guerriglia, per sua stessa natura non d'avanguardia, ma di massa.
È chiaro che Guevara aveva una visione sostanzialmente distorta del marxismo-leninismo e del socialismo, da cui nacquero una strategia e una tattica gravemente sbagliate ed errori che lo stesso guerrigliero argentino scontò con la vita. Questo è l'approccio materialista e critico con cui abbiamo sempre voluto affrontare il suo pensiero e la sua opera, per dare ai combattenti per il socialismo e ai giovani in particolare una interpretazione di classe del guevarismo. E per ribadire che la via rivoluzionaria per eccellenza resta quella vincente e universale della Rivoluzione d'Ottobre. Una via che chi la rivoluzione proprio non la vuole fare, pur dandosi arie da comunista, cerca di occultare esaltando chiunque ne abbia respinto o sminuito i connotati principali: la lotta di classe, la costruzione del Partito marxista-leninista, la dittatura del proletariato. A chi vuole lottare per il socialismo risulterà molto utile la lettura del Documento del Comitato centrale del PMLI sulla Rivoluzione d'Ottobre che verrà reso pubblico il 25 Ottobre.
Del resto la stessa Castellina sul “manifesto” citato in apertura sostiene che “la ragione per cui è stato amato e continua ad esserlo, è perché ha non con le parole ma con l'esempio dato luce alla soggettività”.
Cioè all'individualismo piccolo-borghese, all'anarchismo, allo spontaneismo e al movimentismo, in contraddizione con quello che hanno insegnato Lenin e l'Ottobre, e alimentando le idee piccolo-borghesi e pseudo-comuniste che circolano nei movimenti e nei centri sociali.
Sulla centralità della classe operaia è tornato anche il compagno Andrea Cammilli nel suo discorso a nome del CC del PMLI alla scorsa Commemorazione di Mao affermando: “La riduzione della classe operaia, dove è avvenuta, non ne ha compromesso né il ruolo né l'importanza. La classe operaia è sempre quella che produce la ricchezza e il plusvalore, è la classe che attraverso la sua emancipazione libera anche le altre classi oppresse. Di certo l'inevitabile sviluppo dell'informatica, della digitalizzazione e della robotizzazione si ripercuoterà gravemente sull'occupazione. La quarta rivoluzione industriale in atto, che coinvolge più o meno tutti i settori produttivi, generando alti tassi di disoccupazione, una minore tutela dei lavoratori e più ampie disuguaglianze sociali ed economiche, aumenterà le contraddizioni di classe e i conflitti di classe”.
D'altra parte, oggi più che mai c'è bisogno di lottare contro l'imperialismo, che mentre attacca violentemente i diritti delle masse lavoratrici al proprio interno, all'esterno depreda interi Paesi provocando la barbarie terrorista e le migrazioni bibliche sotto gli occhi tutti e minaccia una nuova guerra mondiale. Ma ciò va fatto con i giusti metodi e soprattutto capendo che tale lotta è insufficiente se non va alla radice del sistema economico che genera l'imperialismo, che altro non è che la fase suprema del capitalismo, e se non si pone come obiettivo il suo abbattimento e la conquista del socialismo.
11 ottobre 2017