I passi salienti del documento Usa La strategia dell'imperialismo americano della "guerra preventiva" per dominare il mondo Le organizzazioni non governative e gli operatori umanitari arruolati d'ufficio nella strategia militare del nuovo Hitler Bush La Strategia di sicurezza nazionale (NSS) proclamata da Bush nel 2002, ovvero la politica che teorizzando la "guerra preventiva" e l'"esportazione della democrazia" rilancia l'imperialismo americano verso il dominio assoluto del mondo, da oggi è ufficialmente e pienamente supportata anche dalle corrispondenti strategie adottate dal dipartimento della Difesa e dagli Stati maggiori generali Usa. Lo scorso marzo, infatti, il Pentagono ha pubblicato la Strategia di difesa nazionale (NDS), a firma del segretario alla Difesa Rumsfeld, e la Strategia militare nazionale (NMS), a firma del presidente dei capi di Stato maggiore riuniti, gen. Myers, due documenti che non lasciano il minimo dubbio sull'inguaribile vocazione imperialista e guerrafondaia degli Usa e sulla loro ferma intenzione di detenere l'egemonia armata del mondo ancora per molti anni a venire. Il primo documento definisce le linee guida generali da adottare per adeguare il ministero della Difesa americano ai nuovi compiti strategici dettati dalla Casa Bianca; ed è quello che qui pubblichiamo in estratti, essendo il secondo complementare al primo e rivolto essenzialmente a trattare le implicazioni più strettamente militari di tale strategia. Di quest'ultimo citeremo comunque i passi più significativi in questo articolo di commento ai due documenti. è interessante notare che, secondo l'introduzione scritta dallo stesso Rumsfeld, i due documenti strategici furono commissionati da Bush al Pentagono subito dopo il suo insediamento, quindi diversi mesi prima dell'11 settembre 2001, per preparare il dipartimento della Difesa "alle sfide del 21° secolo". Ciò conferma che la strategia aggressiva di proiezione globale dell'imperialismo Usa era già nei piani della Casa Bianca ancor prima dell'attentato alle torri gemelle (sostanzialmente dal crollo del socialimperialismo sovietico e del suo sistema politico-militare, negli anni '90), e che quell'attentato è stato semmai sfruttato a posteriori per dare una veste "difensiva" e legalitaria (la lotta al "terrorismo globale") alla strategia di dominio mondiale degli Usa. Il documento del Pentagono esordisce infatti con due affermazioni-chiave per giustificare l'adozione di una tale strategia di dominio globale: una è la dichiarazione unilaterale dello stato di guerra ("l'America è una nazione in guerra", si dice), atta a giustificare qualsiasi tipo di azione militare e violazione del diritto interno e internazionale; l'altra è la cinica proclamazione che gli Stati Uniti intendono approfittare della straordinaria posizione di vantaggio di cui godono oggi nel mondo per "costruire un mondo migliore e più sicuro". Vale a dire un mondo a loro immagine e somiglianza, un mondo interamente sottomesso al loro dominio, a tutti i costi e a tempo indefinito: una visione del mondo e del futuro così maniacalmente megalomane da sembrare mutuata direttamente dall'idea del III Reich "millenario" di hitleriana memoria. Quattro tipi di sfide In questa agghiacciante prospettiva l'imperialismo Usa si sta attrezzando per affrontare quattro tipi di sfide, che possono essere lanciate anche in combinazione fra loro dai loro "avversari": quelle "tradizionali", con nazioni e potenze concorrenti, anche future, da non sottovalutare e da tenere invece sotto stretta osservazione, come Russia e Cina e (anche se non sono citate), la Ue e il Giappone; quelle "irregolari", che nascono dal terrorismo e dalla guerriglia, ma più in generale dall'"estremismo politico, religioso ed etnico"; quelle "catastrofiche", poste da avversari dotati di "armi di distruzione di massa"; e quelle "dirompenti", condotte con mezzi dirompenti come armi biotecnologiche o spaziali, ma anche attraverso mezzi informatici e telematici: "Attacchi informatici ai sistemi di informazione commerciale degli Usa o attacchi contro le reti di trasporto - recita a questo riguardo il parallelo documento degli Stati maggiori riuniti - possono avere un più forte impatto economico e psicologico che un relativamente piccolo rilascio di un agente letale". Secondo la logica guerrafondaia del Pentagono, quindi, anche gli hacker informatici sono equiparati ai terroristi, e i paesi che li ospitano a "Stati canaglia" soggetti ad essere attaccati "preventivamente" dagli Usa. L'imperialismo americano sa di avere una forza senza uguali nel mondo ancora per molti anni a venire, tuttavia ammette di avere delle "vulnerabilità". Si rende conto che la sua politica estera e militare "crea disagio, risentimento e resistenza" in altre nazioni e popoli; paventa che possa non essere capita nemmeno dai suoi alleati, e che alcuni di questi, percependo in maniera diversa le "minacce internazionali", decidano di non seguirlo sulla sua strada. Quale sarà allora la sua strategia in simili casi? "Gli Stati Uniti - risponde il documento degli Stati maggiori - si sforzeranno costantemente di ottenere l'appoggio della comunità internazionale e per aumentare la capacità dei partners di affrontare le sfide comuni. Ma non esiteranno ad agire da soli, se necessario". Nel conto delle "vulnerabilità" di cui gli "avversari" degli Usa tenteranno di approfittarsi viene incluso anche il "ricorso ai fori internazionali" e ai processi giudiziari, mezzi considerati dal pentagono del tutto equivalenti al terrorismo. Colpire per primi, colpire a distanza Per sventare tutta questa vasta gamma di "minacce", per il Pentagono la strategia non può essere che una sola: colpire per primi, colpire a distanza. Cioè portare la "guerra preventiva" in tutto il mondo. "La nostra prima linea di difesa è all'estero", dice infatti il documento di strategia militare. Occorre - recita a sua volta la Strategia di difesa nazionale, proiettare la potenza Usa su scala globale, essere padroni dei mari, dei cieli, dello spazio e del ciberspazio (Internet ecc.) e soprattutto dominare in "quattro aree strategiche avanzate", considerate fondamentali per il controllo economico, politico e militare del mondo: Europa, Asia nord-orientale, Asia orientale costiera e Medio Oriente-Asia sud-orientale. Ecco spiegato, in questa luce, il perché delle guerre in Afghanistan e Iraq, le minacce a Siria, Iran e Corea del nord, l'alleanza militare con il Giappone in funzione anticinese, la politica di inglobamento pezzo per pezzo degli Stati europei e centro-asiatici dell'ex Unione Sovietica, le recenti "frizioni" con l'Unione Europea, ecc. Il documento del Pentagono delinea anche come dovranno essere le campagne militari del futuro: campagne per "sconfiggere rapidamente" gli avversari, condotte anche su due fronti simultanei, attraverso la mobilitazione rapida di una forza schiacciante da inviare in qualsiasi teatro del globo e senza preoccuparsi degli "effetti collaterali" sulle popolazioni civili: sul modello sperimentato contro la città martire di Falluja, per essere chiari. Ma anche campagne "per conseguire risultati duraturi", anche attraverso "cambiamenti di regime" (come in Iraq e Afghanistan), nelle quali è previsto anche l'impiego di "contingenti minori". Ivi incluse "operazioni di pace" e "missioni umanitarie". è interessante notare che a questo fine di occupazione "duratura" di altre nazioni e popoli anche le cosiddette "missioni umanitarie" e le organizzazioni non governative ad esse preposte, come anche le agenzie commerciali, le istituzioni culturali ecc., vengono considerate dal governo americano parte integrante della sua strategia politico-militare e della sua macchina bellica di conquista, invasione e occupazione: "La nostra esperienza in Afghanistan e Iraq - sottolinea infatti il documento di strategia militare - evidenzia la necessità di una strategia complessiva per raggiungere obiettivi nazionali a lungo termine. Gli Usa devono adottare una difesa attiva in profondità che fonda tra loro in maniera sinergica le forze militari unite, le organizzazioni internazionali non governative e le forze multinazionali (...). L'integrazione delle forze poggia sulla sincronizzazione delle operazioni militari fra i servizi segreti, le altre agenzie governative, il settore commerciale, le organizzazioni non governative e quelle dei partners esteri. L'integrazione non preclude l'uso unilaterale della forza, ma piuttosto cerca di assicurare l'unità di sforzi e massimizzare il contributo dei partners". Le organizzazioni non governative e gli operatori umanitari sono dunque arruolati d'ufficio nella"guerra preventiva" dell'Hitler della Casa Bianca, che lo vogliano o no. Ciò mette in grave repentaglio la loro sicurezza, perché saranno identificati come complici, spie e fiancheggiatori degli invasori, che lo siano effettivamente o no, come infatti sta già accadendo in Iraq e Afghanistan. Basi militari e controllo dell'informazione Nella strategia di dominio globale degli Usa le basi militari sparse in tutto il mondo giocano naturalmente un ruolo essenziale. Ma non più, come nel passato, per formare una cintura militare per circondare il cosiddetto "impero del male comunista" ormai dissolto, bensì per consentire il rapido intervento dell'esercito imperialista a stelle e strisce in ogni angolo del globo, dalle sue aree più densamente popolate alle sue regioni più remote e inospitali, e in particolar modo nelle e dalle quattro regioni strategiche prima menzionate. A questo scopo, pur essendo ancora di primaria importanza le grandi basi militari fisse, nella nuova visione strategica del Pentagono assumono un'importanza crescente le basi militari avanzate, "flessibili", a "rotazione", "temporanee" e simili, cosiccome la dislocazione di armi e materiali, anche nucleari, pronti per essere usati nelle aree "calde" e lungo le vie di comunicazione strategiche. è appunto in questo quadro strategico che il Pentagono ha recentemente avviato una gigantesca ristrutturazione della sua rete di basi militari nel mondo, motivata ufficialmente con l'esigenza di "razionalizzare" le spese militari, ma in realtà per adattarla meglio alla "nuova postura" interventista globale delle forze armate Usa. Di questa "nuova postura" aggressiva, fondamentalmente unilaterale e svincolata dal diritto internazionale e da qualsiasi altro limite giuridico, politico o morale, è parte integrante anche una rinegoziazione degli accordi legali con i paesi partners degli Usa, per garantire la massima libertà di azione e impunità giuridica ai militari americani e impedire il loro eventuale deferimento a tribunali internazionali contro i crimini di guerra. E questo la dice lunga sul fatto che gli Stati Uniti stanno ormai avviandosi a superare i nazisti in fatto di crimini di guerra. Altrettanto rivelatore della coscienza sporca degli uomini del Pentagono è anche la raccomandazione esplicita che il documento degli Stati maggiori rivolge ai comandi militari riguardo al controllo e all'uso dei mezzi di informazione per supportare le operazioni di guerra: "L'integrazione e l'interagenza delle forze - scrive infatti il documento - implica un piano strategico di comunicazione che include elementi di pubbliche relazioni e pubblica diplomazia; questo piano deve assicurare unità di temi e di messaggi, enfatizzare i successi, confermare o smentire le notizie esterne sulle nostre operazioni, e rafforzare la legittimità dei nostri scopi. I comandanti sul campo devono essere attivamente coinvolti nello sviluppo, esecuzione e appoggio a questa strategica campagna di comunicazione". Nelle guerre future del Pentagono, ancor più che per quelle attuali, non c'è posto per l'informazione "indipendente", ma solo per la disinformazione pilotata dalla propaganda bellica Usa e per il giornalismo "embedded" pronto a fiancheggiare ed osannare le "crociate" armate dell'imperialismo a stelle e striscie in tutto il mondo. 8 giugno 2005 |