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Stalin, la vita e l'opera

Capitolo 18
La situazione internazionale e la politica estera sovietica tra le due guerre

 


La fine della prima guerra mondiale vide una trasformazione radicale della situazione internazionale. Il crollo dell'impero zarista, la conclusione vittoriosa del processo rivoluzionario in Russia e la pesante sconfitta della Germania, ridisegnarono i confini geografici, mutarono il quadro politico ed i rapporti di forza tra gli Stati. Il Trattato di Versailles, che i dirigenti tedeschi firmarono il 28 giugno 1919, impose pesanti condizioni alla Germania sul piano territoriale e delle Colonie, nonché su quello economico e militare.
- Le nuove frontiere della Germania. Sul fronte orientale vi fu il riconoscimento internazionale dell'indipendenza della Polonia che ottenne Poznan, parte della Slesia superiore e della Prussia occidentale e un corridoio di terra che le garantiva l'accesso al mare. Danzica ebbe lo statuto di "città libera" sotto l'amministrazione della Società delle Nazioni. Alla Cecoslovacchia venne annesso il distretto di Hultschin, nell'alta Slesia. Il porto di Memel con la zona ad esso adiacente, che prima della guerra era parte integrante della Germania, fu posto anch'esso sotto amministrazione della Società delle Nazioni e, solo nel 1923, riannesso alla Lituania. Sul fronte occidentale al Belgio vennero riconosciuti i circondari di Enpen, Malmedye e Moreanet. La Francia ottenne l'Alsazia e la Lorena. La Saar passò sotto amministrazione della Società delle Nazioni per 15 anni e alla Francia vennero date in proprietà le sue miniere di carbone. Per 15 anni, inoltre, le truppe alleate dovevano occupare la riva sinistra del Reno, mentre lungo la riva destra veniva creata una fascia smilitarizzata larga dai 50 ai 60 km.
- La spartizione delle Colonie tedesche. La zona tedesca della Nuova Guinea venne data all'Australia e l'isola di Samoa alla Nuova Zelanda. Al Giappone vennero concesse le isole Marshall, le Marianne e le Caroline. Inoltre Tokio ottenne il controllo della provincia cinese dello Shantung che la Germania amministrava prima della guerra. Le Colonie africane vennero invece spartite tra le nazioni europee. Al Belgio il Ruanda-Burundi; al Portogallo il triangolo del Kionga; Camerun e Togo vennero suddivisi tra Francia e Inghilterra e a Londra vennero anche concessi i mandati sulla parte principale dell'ex Africa orientale tedesca. Infine all'Unione Sudafricana passò l'Africa sudoccidentale.
- Le riparazioni economiche. La soluzione delle ripartizioni ai vari Paesi delle "riparazioni economiche" venne affidata ad una speciale "Commissione delle Riparazioni" di cui facevano parte a pieno titolo USA, Inghilterra, Francia, Belgio e Italia, e a cui erano saltuariamente ammessi i rappresentanti di Jugoslavia e Giappone. Alla Germania fu fatto obbligo di pagare entro il 1 maggio 1921 la prima rata della quota "riparazioni" ammontante a venti miliardi di marchi oro. Il governo tedesco era inoltre tenuto ad indennizzare i danni causati ai cittadini delle potenze alleate ed a farsi carico delle spese per le pensioni ai soldati dell'Intesa ed ai loro familiari. Fu imposto altresì ai tedeschi di consegnare ai vincitori una grande quantità di bestiame, grossa parte della flotta mercantile e del materiale mobile ferroviario.
- Gli aspetti militari. Gli articoli militari del Trattato di Versailles, sono ampiamente esplicativi della politica internazionale che volevano intraprendere le potenze capitalistiche occidentali. Se da una parte si era voluto indebolire il ruolo tedesco nei confronti dell'Intesa, la Germania veniva ampiamente utilizzata dai Paesi vincitori in funzione antisovietica. USA, Inghilterra e Francia si accordarono per lasciare alla Germania un esercito di centomila effettivi fra soldati e ufficiali; di mantenere una flotta militare composta da sei corazzate, sei incrociatori leggeri, dodici torpediniere ed altrettanti cacciatorpediniere. Le fu invece proibito di avere carri armati, autoblindo, aerei militari, sottomarini ed armi chimiche. Ma, mentre fu fatto obbligo al governo tedesco di distruggere tutte le difese costiere e le fortificazioni lungo la frontiera occidentale, gli si garantì di conservare le fortificazioni sulla frontiera orientale e mantenere le proprie forze armate nei paesi baltici.
Come già detto, dunque, l'imposizione alla Germania del Trattato di Versailles, mutava radicalmente i rapporti di forza tra le potenze. Il governo tedesco richiese più volte, ma invano, una revisione del Trattato che, tra l'altro, creò all'interno del paese un clima politico favorevole alla propaganda e allo sviluppo di un esacerbato nazionalismo di cui profittarono Hitler e il suo movimento nazista.
L'Unione Sovietica considerò sin dall'inizio il Trattato di Versailles, un cattivo trattato, stimolo alla guerra. "Che cos'è dunque il trattato di Versailles? - affermò Lenin il 15 ottobre 1920 - Una pace inverosimile, brigantesca, che riduce in uno stato di schiavitù decine di milioni di uomini, anche dei paesi più civili. Non si tratta nemmeno di una pace, ma delle condizioni poste dai banditi, col coltello in pugno, a una vittima inerme. I nemici della Germania le hanno tolto con il trattato di Versailles tutte le sue colonie. La Turchia, la Persia e la Cina sono state ridotte in stato di schiavitù. Si è creata una situazione in cui i sette decimi della popolazione mondiale si trovano in una condizione di asservimento. Questi schiavi, sparsi in tutto il mondo, sono esposti alle torture inflitte loro da un pugno di paesi: Inghilterra, Francia e Giappone. Ecco perché tutto questo assetto internazionale, tutto quest'ordine che poggia sul trattato di Versailles, è seduto su un vulcano: i sette decimi della popolazione della terra, che sono stati asserviti, aspettano infatti con impazienza che qualcuno dia inizio alla lotta, che questi Stati comincino a vacillare".127
E l'Unione Sovietica, stabilizzata la situazione interna dopo la vittoria della Rivoluzione d'Ottobre e reso saldo il nuovo potere dei Soviet, profuse grande attenzione ed impegno nell'analisi della situazione internazionale, così come nell'attuazione concreta e puntigliosa di una politica estera in grado di salvaguardare l'integrità e lo sviluppo del primo Stato socialista, ben consapevole che gli interessi dei popoli erano tutt'uno con i suoi stessi interessi. Un nuovo sistema, il sistema socialista, irruppe nel panorama politico internazionale. Un sistema totalmente estraneo e avverso alla politica di spartizione e di dominio imperialista praticato dalle grandi potenze capitalistiche.
L'URSS di Lenin e Stalin in politica estera agì e lavorò principalmente per rinsaldare la pace sui propri confini e, nel contempo, salvaguardare la pace nel mondo, nel momento stesso in cui già cominciavano a intravedersi i primi focolai di belligeranza, sinistro preludio alla dolorosa catastrofe rappresentata dalla seconda guerra mondiale.
Per rendere concreta questa azione, il governo sovietico si attivò con coerenza e fermezza, in primo luogo per allacciare rapporti con tutti i paesi, non escluse le grandi potenze imperialiste. Un aspetto importante, fondamentale, per raggiungere questo obiettivo fu quello dei rapporti economici e commerciali.
"Durante i quattro anni e più di esistenza del potere sovietico, - affermava Lenin nel 1922 - abbiamo naturalmente acquistato una sufficiente esperienza pratica (senza contare che ne avevamo abbastanza anche dal punto di vista teorico) per saper valutare giustamente il giuoco diplomatico messo in atto, secondo tutte le regole della vecchia arte diplomatica borghese, dai signori rappresentanti degli Stati borghesi. Noi comprendiamo benissimo che cosa si trova alla base di questo giuoco: sappiamo che la sua sostanza è il commercio. I paesi borghesi hanno bisogno di commerciare con la Russia: essi sanno che senza una qualche forma di rapporti economici la loro crisi continuerà, così come è continuata fino ad oggi; nonostante tutte le loro splendide vittorie, nonostante le innumerevoli vanterie di cui riempiono i giornali e i telegrammi inviati in tutte le parti del mondo, la loro economia si sta sgretolando...
Noi già da molto diciamo e sappiamo che essi hanno dato della guerra imperialistica un giudizio meno esatto del nostro. Essi l'hanno giudicata dal punto di vista di quel che avevano davanti agli occhi, e tre anni dopo le loro gigantesche vittorie non riescono a trovare una via d'uscita.
Noi comunisti dicevamo che il nostro giudizio sulla guerra era più giusto e più profondo, che le contraddizioni e le calamità della guerra hanno una influenza incomparabilmente più vasta di quel che pensano gli Stati capitalisti. E, osservando da spettatori i paesi borghesi vincitori, dicevamo: dovranno ricordare più di una volta le nostre previsioni e il nostro giudizio sulla guerra. Non ci meraviglia che essi si siano smarriti in una foresta di tre pini. Ma nello stesso tempo diciamo: dobbiamo commerciare con gli Stati capitalistici finché questi ultimi esistono in quanto tali. Noi iniziamo trattative con loro in veste di commercianti, e che questo sia realizzabile lo dimostra sia il numero sempre crescente degli accordi commerciali con le potenze capitalistiche che il volume degli affari combinati"
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Il 1921 fu, sotto questo aspetto, un anno prodigo di successi per il giovane Stato sovietico. Nel corso di quell'anno, infatti, venne firmato con l'Inghilterra il primo di una lunga serie di accordi commerciali. Ad esso, altri ne seguirono, a partire da quello con la Germania siglato il 6 maggio e, via via, con l'Austria, la Norvegia, l'Italia, la Danimarca e la Cecoslovacchia. Attraverso questa serie di accordi commerciali la Russia sovietica incrinò, fino a farlo saltare completamente, il piano di quanti cercavano di strangolare economicamente il paese, gettando solide basi per lo sviluppo del commercio estero sovietico. Con i paesi capitalistici i rapporti rimasero in quel periodo nel solo ambito commerciale. Questo per il loro rifiuto a stabilire normali relazioni diplomatiche con la Russia sovietica, che essi subordinavano all'accettazione da parte del governo di Mosca delle loro pretese circa il pagamento dei debiti contratti dal governo zarista e dal governo provvisorio, il libero accesso dei loro capitali in Russia e la soppressione del monopolio di Stato sul commercio estero.
Ben diversamente si svilupparono invece i rapporti politici tra la Russia sovietica e i paesi succubi dell'oppressione coloniale e del dominio e delle mire egemoniche dell'imperialismo, a partire dagli Stati d'Oriente. Il 26 febbraio 1921, dopo l'avvenuto riconoscimento da parte del governo di Mosca dell'indipendenza e della sovranità dell'Iran, il ritiro delle truppe russe da quel paese e l'abrogazione del vecchio accordo stipulato dal regime zarista, Iran e RSFSR stipularono un nuovo trattato basato sull'uguaglianza e la parità fra i contraenti. Il 28 febbraio 1921 un analogo trattato venne stipulato tra la RSFSR e l'Afghanistan, a cui seguirono quello con la Turchia, marzo 1921, e con la Mongolia, 5 novembre 1921. Questi primi atti del governo sovietico resero evidente al mondo intero l'abisso esistente tra la nuova Russia e il regime zarista, e l'intenzione dei sovietici di instaurare nuovi e più ampi rapporti di collaborazione e di amicizia con tutti i popoli e i paesi sulla base dell'effettiva eguaglianza, della parità e del reciproco interesse. Rispetto a questa volontà, a nulla valsero i tentativi di far fallire la realizzazione di questi trattati messi in atto da Inghilterra e Francia che, su quei paesi, esercitavano il loro dominio coloniale.
Il 28 ottobre 1921 il governo sovietico inviò ai governi di Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Giappone e Italia una nota nella quale proponeva la convocazione di una Conferenza internazionale per la pace, per il riconoscimento della RSFSR e la regolazione dei rapporti diplomatici. Questa Conferenza internazionale si svolse a Genova nell'aprile del 1922. Ad essa, le maggiori potenze capitalistiche si presentarono unite nel chiedere alla Russia sovietica di riconoscere gli impegni presi dal regime zarista e dal governo provvisorio, di accettare il controllo del suo bilancio statale da parte di una speciale "commissione del debito russo" e di restituire agli ex padroni stranieri le aziende e le fabbriche russe che prima della rivoluzione erano state di loro proprietà. Cicerin, commissario del popolo per gli affari esteri, non solo rifiutò energicamente queste proposte dettate esclusivamente dalla volontà di ingerenza negli affari interni della RSFSR e dal tentativo di soffocare sul nascere l'edificazione socialista, ma rese esplicite le linee guida della politica estera sovietica.
"Nell'attuale epoca storica, - disse Cicerin nel suo intervento alla Conferenza - che rende possibile l'esistenza parallela del vecchio regime sociale e del nuovo che sta sorgendo, la cooperazione economica fra gli Stati rappresentanti due sistemi di proprietà è una necessità imperativa per la ricostruzione economica generale... Noi siamo pronti a prender parte al lavoro generale, nell'interesse sia della Russia che dell'Europa, nell'interesse di decine di milioni di uomini che il dissesto economico condanna a insopportabili privazioni e sofferenze che dipendono dalla disgregazione economica, e a sostenere tutti i tentativi, diretti anche solo ad un palliativo miglioramento dell'economia mondiale, ad allontanare le minacce di nuove guerre".129
La Conferenza di Genova non portò a nessun accordo particolare, ma evidenziò il carattere della politica estera sovietica e l'ostacolo che essa avrebbe rappresentato ai piani di dominio imperialistico perseguiti dalle potenze capitalistiche a livello internazionale. La reazione delle grandi potenze fu immediata e virulenta. In particolare quella dell'Inghilterra che intravvedeva soprattutto negli accordi stipulati fra Mosca e i Paesi d'oriente una seria e concreta minaccia al mantenimento del suo dominio coloniale. Questa feroce campagna antisovietica sfociò nell'assassinio avvenuto a Losanna il 10 maggio 1923 del diplomatico sovietico Voroskij. Assassinio compiuto da una "guardia bianca" che lì aveva trovato asilo. Questa violenta campagna antisovietica trovò un argine potente principalmente nella solidarietà e nella mobilitazione dei lavoratori inglesi e di altri paesi a favore dell'URSS, che il 2 febbraio 1924 fu finalmente riconosciuta dalla Gran Bretagna. Il governo di Mosca dovette tuttavia più volte ancora far fronte con risoluta fermezza e saldezza di nervi alle ripetute provocazioni, non solo "diplomatiche", e ai tentativi di isolamento perpetrati ai suoi danni.
Nell'aprile 1927, sotto diretta istigazione dei governi inglese e americano, la polizia cinese irruppe nell'ambasciata sovietica a Pechino, arrestando tutti i funzionari presenti. Il 12 maggio dello stesso anno fu invece la polizia inglese a fare irruzione nella sede della delegazione commerciale sovietica in Gran Bretagna. Fu una provocazione assai seria alla quale Mosca rispose inviando al governo di Londra una nota di protesta molto decisa. Il 27 maggio il ministro degli esteri inglese Chamberlain annunciò l'annullamento dell'accordo commerciale e la rottura delle relazioni diplomatiche con l'URSS. Il 7 giugno vi fu poi l'assassinio a Varsavia dell'ambasciatore sovietico in Polonia, Vojkov, anche questo attuato da un fuoriuscito ex "guardia bianca". Non è certo un caso che tutte queste provocazioni e questi reiterati tentativi di isolamento messi in atto contro l'URSS, avvennero in concomitanza con la "Conferenza economica internazionale" svoltasi nel maggio 1927. Conferenza nella quale l'URSS ebbe un ruolo attivo, proponendo tra l'altro: l'annullamento di tutti i debiti di guerra, il diritto dei popoli all'autodeterminazione, il ritiro delle truppe straniere dalle Colonie ed, inoltre, l'adozione a livello internazionale della giornata lavorativa di otto ore e l'introduzione in tutti i paesi delle libertà sindacali; poi, sul piano dell'adozione di una seria politica di pace, la delegazione sovietica avanzò anche concrete proposte per un effettivo disarmo e per la riduzione delle spese militari. Risulta quanto mai evidente quindi, come l'irruzione del socialismo, del primo Stato socialista sulla scena internazionale, abbia dato alla classe operaia e ai popoli del mondo un peso e un ruolo del tutto nuovi e un'accresciuta capacità di azione sul piano della politica internazionale.
"La Rivoluzione d'ottobre - ha scritto Stalin nel 1927 - ha scosso l'imperialismo non soltanto nei centri del suo dominio, non solo nelle 'metropoli'. Essa ha anche colpito l'imperialismo alle spalle, alla sua periferia, scalzando il dominio dell'imperialismo nei paesi coloniali e nei paesi soggetti.
Abbattendo i grandi proprietari fondiari e i capitalisti, la Rivoluzione d'ottobre ha spezzato le catene del giogo nazionale e coloniale e ha liberato da esso tutti, senza eccezione, i popoli oppressi di un vasto Stato. Il proletariato non può liberare se stesso senza liberare i popoli oppressi. Il tratto caratteristico della Rivoluzione d'ottobre è il fatto che essa ha compiuto nell'URSS queste rivoluzioni nazionali e coloniali non sotto la bandiera degli odii nazionali e dei conflitti fra le nazionalità, ma sotto la bandiera della fiducia reciproca e della convivenza fraterna degli operai e dei contadini delle nazionalità dell'URSS, non in nome del nazionalismo, ma in nome dell'internazionalismo.
Appunto perché le rivoluzioni nazionali e coloniali si sono compiute da noi sotto la direzione del proletariato e sotto la bandiera dell'internazionalismo, appunto perciò i popoli paria, i popoli schiavi sono assurti per la prima volta nella storia dell'umanità alla posizione di popoli realmente liberi e realmente uguali, guadagnando col loro esempio i popoli di tutto il mondo.
Ciò significa che la Rivoluzione d'ottobre ha aperto una nuova epoca, l'epoca delle rivoluzioni coloniali, che si compiono nei paesi oppressi di tutto il mondo in alleanza col proletariato, sotto la direzione del proletariato...
Fatti come lo sviluppo del movimento rivoluzionario dei popoli asserviti della Cina, dell'Indonesia, dell'India, ecc. e l'aumento della simpatia di questi popoli per l'URSS lo confermano in modo sicuro.
L'era del tranquillo sfruttamento e dell'oppressione indisturbata delle colonie e dei paesi soggetti è tramontata...
La Rivoluzione d'ottobre ha inferto al capitalismo mondiale una ferita mortale, che esso non potrà più sanare. Appunto per questo il capitalismo non potrà mai più ritrovare l''equilibrio' e la 'stabilità' che esso possedeva prima dell'Ottobre. Il capitalismo può stabilizzarsi parzialmente, può razionalizzare la sua produzione, dare al fascismo la direzione del paese, domare momentaneamente la classe operaia, ma non ritroverà mai più la 'tranquillità', la 'sicurezza', l''equilibrio', la 'stabilità' di cui si vantava nel passato...
La Rivoluzione d'ottobre ha elevato notevolmente la forza e il peso specifico, il coraggio e la combattività delle classi oppresse di tutto il mondo, costringendo le classi dominanti a tener conto di esse, come di un fattore nuovo, importante. Oggi non è più possibile considerare le masse lavoratrici del mondo come una 'folla cieca', errante nelle tenebre e priva di prospettive, perché la Rivoluzione d'ottobre ha creato per queste masse un faro, che illumina loro la via e apre loro delle prospettive. Se nel passato non v'era una tribuna universale aperta, per manifestare e formulare le speranze e le aspirazioni delle classi oppresse, oggi questa tribuna esiste, ed è la prima dittatura proletaria. Non si può mettere in dubbio che la distruzione di questa tribuna piomberebbe per lungo tempo la vita politica e sociale dei 'paesi progrediti' nelle tenebre d'una reazione nera e sfrenata. Non si può negare che il semplice fatto dell'esistenza dello 'Stato bolscevico' mette un freno alle forze nere della reazione, facilitando alle classi oppresse la lotta per la loro liberazione. Ciò spiega, in fin dei conti, l'odio bestiale che gli sfruttatori di tutti i paesi nutrono contro i bolscevichi"
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Nel 1929 ebbe inizio una nuova crisi che coinvolse tutto il mondo capitalistico. Fu una crisi che segnò una marcata differenziazione rispetto a quelle che periodicamente si sviluppano nei regimi capitalistici. In primo luogo perché coinvolse appunto tutto il mondo capitalistico e non soltanto questo o quel paese; in secondo luogo perché colpì tutti i settori dell'economia, industriale, agricolo, commerciale, finanziario, creditizio, ecc.; in terzo luogo perché fu una crisi che si sviluppò nell'arco di un lungo periodo. Una crisi devastante, caratterizzata da un diffuso incremento della disoccupazione che impose soprattutto agli operai, ai contadini e alle masse popolari indicibili condizioni di sofferenza e di miseria. Stalin nel suo Rapporto al XVII Congresso del PC(b) dell'URSS, presentato il 26 gennaio 1934, mise in risalto come quella crisi abbia influenzato la situazione politica. Sono parole, quelle di Stalin, chiare, che ci fanno capire quanta lucidità, correttezza e lungimiranza vi era nella sua analisi. "Come risultato di questa prolungata crisi economica, - affermò Stalin nel suo Rapporto - si è avuto un aggravamento, finora senza precedenti, della situazione politica dei paesi capitalistici, tanto all'interno di quei paesi che nei rapporti fra l'uno e l'altro.
Il rafforzamento della lotta per i mercati esteri, la distruzione degli ultimi residui del libero commercio, i dazi doganali proibitivi, la guerra commerciale, la guerra monetaria, il dumping e molte altre misure analoghe che rivelano un nazionalismo estremo nella politica economica, hanno inasprito al massimo grado i rapporti fra i vari paesi, hanno creato la base per dei conflitti militari e hanno posto all'ordine del giorno la guerra come mezzo per una nuova spartizione del mondo e delle sfere di influenza a profitto degli Stati più forti.
La guerra del Giappone contro la Cina, l'occupazione della Manciuria, l'uscita del Giappone dalla Società delle Nazioni e la sua avanzata nella Cina del Nord hanno reso ancora più tesa la situazione. L'accentuarsi della lotta per il Pacifico e l'aumento degli armamenti militari e navali nel Giappone, negli Stati Uniti, nell'Inghilterra e nella Francia, sono il risultato di questo aggravamento.
L'uscita della Germania dalla Società delle Nazioni e lo spettro della rivincita hanno dato un nuovo impulso all'inasprirsi della situazione e all'incremento degli armamenti in Europa.
Non c'è da stupirsi se il pacifismo borghese vivacchia oggi miserevolmente e se alle chiacchiere sul disarmo vengono sostituite delle trattative 'realistiche' in vista dell'armamento e del riarmo.
Di nuovo, come nel 1914, si presentano in primo piano i partiti dell'imperialismo guerrafondaio, i partiti della guerra e della rivincita.
È chiaro che si va verso una nuova guerra.
Ancor più si inasprisce, sotto l'azione di questi stessi fattori, la situazione interna dei paesi capitalistici. Quattro anni di crisi industriale hanno estenuato e ridotto alla disperazione la classe operaia. Quattro anni di crisi agraria hanno completamente rovinato gli strati dei contadini disagiati non solo nei principali paesi capitalistici, ma anche, e soprattutto, nei paesi dipendenti e coloniali. Sta di fatto che il numero dei disoccupati, nonostante tutti gli imbrogli delle statistiche per farlo apparire più basso, raggiunge, secondo le cifre ufficiali degli istituti borghesi, i tre milioni in Inghilterra, i cinque milioni in Germania, i dieci milioni negli Stati Uniti, senza parlare poi degli altri paesi d'Europa. Aggiungete i disoccupati parziali, il cui numero supera i dieci milioni, aggiungete le masse di milioni di contadini rovinati e avrete un quadro approssimativo della miseria e della disperazione delle masse lavoratrici...
Lo sciovinismo e la preparazione della guerra come elementi fondamentali della politica estera; la repressione contro la classe operaia e il terrore nel campo della politica interna, come mezzo indispensabile per il rafforzamento delle retrovie dei futuri fronti di guerra, - ecco che cosa preoccupa oggi particolarmente gli uomini politici imperialisti dei nostri giorni.
Non c'è da stupirsi che il fascismo sia diventato oggi l'articolo più di moda fra gli uomini politici della borghesia guerrafondaia. Non parlo soltanto del fascismo in generale, ma prima di tutto del fascismo di tipo tedesco, che erroneamente viene chiamato nazional-socialismo, perché il più minuzioso degli esami non lascia scoprire in esso neppure un atomo di socialismo.
In rapporto a ciò, la vittoria del fascismo in Germania non dev'essere soltanto considerata come un segno di debolezza della classe operaia e come il risultato del tradimento della classe operaia da parte della socialdemocrazia che ha aperto la strada al fascismo. Essa dev'essere anche considerata come un segno della debolezza della borghesia, come un segno del fatto che la borghesia non è più in grado di dominare coi vecchi metodi del parlamentarismo e della democrazia borghese e si vede perciò costretta a ricorrere nella politica interna a metodi di governo terroristici, come un segno del fatto che essa non è più in grado di trovare una via d'uscita dalla situazione attuale sulla base d'una politica estera di pace ed è perciò costretta a ricorrere a una politica di guerra.
Tale è la situazione.
Come vedete, si va verso una nuova guerra imperialista, come via d'uscita dalla situazione attuale.
Ma non vi è nessuna ragione di supporre che la guerra possa offrire un'effettiva via d'uscita. Al contrario, la guerra complicherà ancora di più la situazione. Per di più, essa scatenerà senza dubbio la rivoluzione e metterà in pericolo l'esistenza stessa del capitalismo in numerosi paesi, come già è avvenuto nel corso della prima guerra imperialista. E se, nonostante l'esperienza della prima guerra imperialista, gli uomini politici borghesi si aggrappano tuttavia alla guerra, come colui che affoga si aggrappa a un filo di paglia, vuol dire ch'essi si sentono definitivamente perduti e disorientati, che sono finiti in un vicolo cieco e sono pronti a gettarsi a capofitto nell'abisso...
Alcuni compagni pensano che non appena esiste una crisi rivoluzionaria, la borghesia debba venirsi a trovare in una situazione senza uscita, che la sua fine, di conseguenza, sia già segnata dal destino, che la vittoria della rivoluzione sia perciò fin d'ora assicurata e che non resti loro altro da fare che attendere la caduta della borghesia e redigere dei bollettini di vittoria. È questo un errore molto grave. La vittoria della rivoluzione non giunge mai da sola. Bisogna prepararla e conquistarla. E può prepararla e conquistarla soltanto un forte partito proletario rivoluzionario. Possono esistere dei momenti in cui la situazione è rivoluzionaria, il potere della borghesia è scosso sino alle fondamenta, ma la vittoria della rivoluzione non arriva, perché non esiste un partito rivoluzionario del proletariato sufficientemente forte e autorevole per condurre le masse al suo seguito e prendere il potere nelle proprie mani. Non sarebbe ragionevole pensare che simili 'casi' non possano verificarsi...
È facile capire quanto sia riuscito difficile all'URSS condurre la sua politica di pace in quest'atmosfera avvelenata dai miasmi delle combinazioni di guerra.
In questa ridda prebellica che si estende a tutta una serie di paesi, l'URSS ha continuato in questi anni a restare salda e incrollabile sulle sue posizioni di pace, a lottare contro il pericolo di guerra e per il mantenimento della pace, andando incontro a quei paesi i quali in un modo o nell'altro sono interessati al mantenimento della pace, denunciando e smascherando coloro che preparano, che provocano la guerra.
Su che cosa ha contato l'URSS in questa lotta difficile e complessa per la pace?
a) Sulla propria crescente forza economica e politica.
b) Sull'appoggio morale di milioni di operai di tutti i paesi vitalmente interessati al mantenimento della pace.
c) Sul buon senso di quei paesi che non sono interessati, per un motivo o per l'altro, alla rottura della pace, e vogliono sviluppare i rapporti commerciali con un contraente puntuale e corretto come l'URSS.
d) Infine, sul nostro glorioso esercito, pronto a difendere il paese dagli attacchi esterni.
Su questa base si è svolta la nostra campagna per la conclusione di un patto di non aggressione e d'un patto per la definizione dell'aggressore con gli Stati che confinano con noi. Voi sapete che questa campagna ha avuto successo. Com'è noto, un patto di non aggressione è stato concluso non soltanto con la maggioranza degli Stati confinanti con noi a occidente e a mezzogiorno, compresa la Finlandia e la Polonia, ma anche con paesi come la Francia e l'Italia; e un patto per la definizione dell'aggressore è stato concluso con gli stessi Stati confinanti con noi a occidente e a mezzogiorno, compresa la Piccola Intesa...
La nostra politica estera è chiara. È la politica del mantenimento della pace e del rafforzamento dei rapporti commerciali con tutti i paesi. L'URSS non pensa a minacciare e tanto meno ad attaccare chicchessia. Siamo per la pace e difendiamo la causa della pace. Ma non temiamo le minacce e siamo pronti a rispondere colpo per colpo ai fautori di guerra. Chi vuole la pace e cerca dei legami d'affari con noi, troverà sempre il nostro appoggio. Ma chi cercasse di attaccare il nostro paese, riceverà un tal colpo mortale, che gli passerà la voglia per il futuro di ficcare il suo grugno porcino nel nostro orto sovietico.
Tale è la nostra politica estera.
Il nostro compito consiste nel tradurre in pratica anche per il futuro questa politica con tutta la coerenza e la tenacia che sono necessarie"
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La pesantissima crisi economica nei paesi capitalistici e la necessità di accaparrarsi nuove fonti di ricchezza e nuovi mercati accentuarono la precarietà degli equilibri internazionali scaturiti dal primo dopoguerra. Questa situazione, tutt'altro che stabile, ricevette un primo, pesante colpo dal Giappone che nel settembre 1931 invase il territorio nord-occidentale della Cina, rompendo gli accordi che lo legavano alla stessa Cina, agli USA e alle potenze dell'Europa. A questo pericoloso focolaio di guerra, se ne aggiunse ben presto un altro nel cuore stesso dell'Europa, con l'avvento al potere di Hitler in Germania nel gennaio del 1933 e l'inizio della politica ferocemente aggressiva ed espansionistica del nazismo. La borghesia tedesca dette un appoggio totale ed incondizionato alla politica di conquista del cosiddetto "spazio vitale" della Germania che altro non era che il piano di imperio hitleriano sul mondo, sviluppatosi attraverso la proclamazione dell'abbietta e criminale teoria della "superiorità della razza ariana" e del nefando, quanto velleitario ed illusorio, tentativo di distruggere e cancellare il bolscevismo. La prima decisione di Hitler fu l'uscita della Germania dalla Società delle Nazioni, cosa che del resto fece anche il Giappone. Fu un segnale chiaro, che dimostrò la sua intenzione di agire libero da ogni "condizionamento", al di fuori e contro ogni regola del diritto e degli accordi internazionali.
Di fronte a questa situazione che rendeva sempre più concreta la minaccia di un nuovo conflitto imperialistico e alla pericolosità che in questo contesto poteva assumere, come effettivamente assunse, il nazifascismo, l'Unione Sovietica guidata da Stalin si dedicò con rinnovata forza e tenacia ed un costante impegno a salvaguardare quanto più possibile la pace e a creare le condizioni necessarie al suo mantenimento.
Il possente sviluppo dell'economia socialista, dell'Esercito rosso e il comune interesse che legava lo Stato socialista agli operai di tutto il mondo erano e rimasero sempre il fattore principale a garanzia della sicurezza, dell'integrità e della capacità di difesa dell'URSS. Ma determinante alla realizzazione di queste garanzie per l'URSS, per i popoli del mondo e per i paesi vittime del dominio coloniale e imperialistico, fu anche la possibilità di far crescere in campo internazionale, fra il maggior numero di paesi possibile, una politica in grado di salvaguardare la pace e di respingere ogni tentativo aggressivo.
Proprio in merito alla lotta contro ogni aggressione, l'Unione Sovietica presentò alla Conferenza internazionale sul disarmo un progetto di dichiarazione nel quale oltre a stabilire la definizione di "aggressore", si determinavano le azioni collettive da intraprendere contro tali azioni aggressive. In particolare, nel progetto di proposta sovietica, l'aggressione veniva identificata: nella dichiarazione di guerra; nella penetrazione di forze armate straniere in un paese anche se in presenza di controversie di ordine politico, economico o strategico; nel bombardamento terrestre, navale o aereo di una Stato; nello sconfinamento di forze armate in una Stato, senza che il governo di quello stesso Stato abbia dato preventivo assenso allo sconfinamento; nel blocco navale delle coste e dei porti di un paese. Ogni violazione anche ad un solo di questi principi, andava considerato come un'azione di aggressione e doveva ricevere una risposta immediata ed automatica a livello internazionale.
Questa proposta sovietica, come detto, venne presentata alla Conferenza internazionale sul disarmo del febbraio 1933, a nemmeno un mese, cioè, dalla salita al potere di Hitler in Germania. Trovò l'adesione di diversi paesi, ma venne rifiutata dalle "grandi potenze". Nel luglio 1933 la "Convenzione sulla definizione di aggressore" venne sottoscritta dall'URSS e dai governi di Afghanistan, Cecoslovacchia, Estonia, Iran, Jugoslavia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Turchia e, nel gennaio 1934, dalla Finlandia. Così l'Unione Sovietica cominciò il suo intenso lavoro diplomatico teso a costruire una politica di sicurezza e di resistenza collettiva agli aggressori, necessaria alla salvaguardia della pace mondiale e contro ogni mira aggressiva ed espansionista.
Per dare maggiore incisività ed efficacia a questa politica il CC del PC(b) dell'URSS valutò la possibilità di realizzare un trattato regionale di difesa contro l'aggressione, relativamente alla zona orientale dell'Europa che trovò da subito la netta opposizione della Germania, che già si preparava a "espandere" i suoi confini, e della Polonia; e per l'ingresso dell'URSS nella Società delle Nazioni, ingresso che si concretizzò nella seduta del 18 settembre 1934 che col voto favorevole di 27 dei 30 Stati aderenti e l'astensione di Argentina, Panama e Portogallo ammise l'Unione Sovietica in quell'organismo internazionale.
Nel marzo 1935, in aperta violazione del trattato di Versailles, il regime hitleriano introdusse in Germania la leva militare obbligatoria avviando, nel contempo, il massiccio riarmo di tutte le forze armate del paese. Dopo aver liquidato ogni opposizione interna e consolidato il potere dittatoriale, il nazismo si preparava ad attuare, passo dopo passo, i suoi affondi espansionistici.
Nel maggio l'URSS firmò due patti bilaterali di reciproco aiuto con Francia e Cecoslovacchia, insistendo tuttavia sulla necessità di arrivare a un accordo più ampio sul piano internazionale per garantire la sicurezza dei vari paesi, soprattutto di fronte alle mire aggressive degli Stati fascisti. Quanto fondate fossero le preoccupazioni sovietiche, lo dimostrarono l'invasione e l'occupazione militare italiana dell'Etiopia nell'ottobre del 1935 e l'occupazione della zona smilitarizzata del Reno da parte dell'esercito tedesco. Il via all'occupazione della Renania venne dato da Hitler il 7 marzo 1936 assieme al preciso ordine, per le sue truppe, di ritirarsi in caso di reazione armata francese. Questo perché, allora, l'esercito tedesco non si era ancora sufficientemente rafforzato e Hitler puntava, soprattutto, a saggiare la capacità di reazione politica di Francia e Inghilterra dimostratesi più divise da interessi tra loro divergenti, che propense a porre un argine immediato all'espansionismo nazista.
Sia per quanto riguardò l'attacco dell'Italia all'Etiopia, che per l'occupazione tedesca della Renania, l'URSS propose alla Società delle Nazioni l'adozione di energiche misure contro queste azioni aggressive. Contro l'Italia la Società delle Nazioni votò per l'applicazione di sanzioni economiche che rimasero, soprattutto per l'azione di Inghilterra e Francia, solo sulla carta; mentre praticamente nulla si fece contro l'occupazione della Renania che venne così, di fatto, tacitamente quanto irresponsabilmente avallata.
Inghilterra e Francia, supportate in questo anche dagli USA, iniziarono a praticare la politica del "non intervento" che spianò la strada alla guerra, mentre le loro diplomazie iniziarono a tessere, più o meno segretamente, una trama tesa a concludere un accordo a quattro (con Germania e Italia) in funzione chiaramente antisovietica. Poi fu la volta della Spagna dove, nel luglio 1936, ebbe inizio la rivolta fascista dei falangisti di Franco contro il legittimo governo di Madrid.
Francia e Inghilterra proclamarono subito la "non ingerenza" negli affari spagnoli, spingendo per un vasto accordo europeo in tal senso. Accordo che fu sottoscritto da 27 paesi nel mese di agosto e che prevedeva il divieto di fornitura di armamenti alle parti in conflitto ed anche il solo transito in Spagna di materiale bellico. Venne inoltre istituito un Comitato di controllo sull'accordo con sede a Londra, composto dai rappresentanti di tutti i paesi firmatari. Il governo sovietico aderì a questo patto convinto che se esso fosse stato effettivamente rispettato, il popolo spagnolo avrebbe sicuramente sconfitto e messo fine al tentativo fascista di rovesciare il legittimo governo del paese. I regimi fascisti di Italia e Germania che pure avevano sottoscritto l'accordo di "non ingerenza", dimostrarono però da subito di non avere alcun'intenzione di rispettarlo iniziando non solo a rifornire di armi e munizioni i falangisti di Franco, ma inviando anche in Spagna loro "consiglieri militari" e reparti armati. Il governo di Mosca presentò alla riunione del Comitato di controllo del 7 ottobre1936 una dura nota di protesta contro l'operato di Italia e Germania, proponendo il controllo internazionale sui porti del Portogallo, da dove venivano riforniti i fascisti spagnoli, sottolineando altresì che se l'accordo di "non ingerenza" non fosse stato rispettato, l'URSS non si sarebbe più sentita vincolata all'accordo stesso e avrebbe fornito l'aiuto necessario al governo di Madrid e al popolo spagnolo. Ben presto fu chiaro che l'accordo di "non ingerenza" aveva completamente fallito il suo scopo e che i governi di Londra e Parigi non avevano nessuna intenzione di agire in concreto per arginare l'attacco fascista in Spagna.
Il popolo spagnolo nella sua eroica lotta contro il nazifascismo, fu lasciato solo dalle potenze capitalistiche che rifiutarono di intervenire a suo sostegno, inviando gli aiuti necessari, per - così dissero - non "estendere" e "aggravare" il conflitto. Il Congresso USA, da parte sua, votò nel 1937 l'embargo sull'esportazione di armi verso gli Stati aggressori, ma pensò bene, nel contempo, di estendere questo divieto anche alla repubblica spagnola. L'unico sostegno concreto al popolo spagnolo fu dato dall'URSS e dall'Internazionale Comunista con l'invio di viveri, medicinali, vestiario, materiale bellico e la formazione delle Brigate Internazionali che fece affluire in Spagna circa 35 mila volontari che combatterono fianco a fianco con il popolo spagnolo nell'eroica resistenza al nazifascismo durata fino all'aprile 1939, quando s'impose la dittatura fascista di Francisco Franco.
Il 1936 fu anche l'anno in cui cominciò a formarsi il blocco aggressivo nazifascista, che porterà alla nascita dell'asse Roma-Berlino-Tokio. Nell'ottobre 1936, infatti, venne stipulata l'intesa fra Germania e Italia e, il 25 novembre, il "patto anticomintern" fra Germania e Giappone, al quale l'Italia aderirà l'anno successivo, nel novembre 1937.
Il 12 marzo 1938 l'Austria fu occupata dalle truppe della Wermacht e, il giorno successivo, annessa al III Reich nazista. L'Unione Sovietica, per opporsi a quest'ennesimo atto di aggressione, si espresse per l'immediata convocazione di una conferenza internazionale. Il Commissario del popolo per gli affari esteri, Litvinov, ribadì che l'URSS era entrata a far parte della Società delle Nazioni per dare il suo contributo al mantenimento della pace nel mondo e denunciò la passività con la quale le grandi potenze capitalistiche avevano assistito negli ultimi quattro anni a tutti gli atti aggressivi del nazifascismo. Sottolineò, inoltre, come l'invasione dell'Austria portasse l'aggressione nel centro dell'Europa e che quest'aggressione, come più volte del resto avevano sottolineato i dirigenti sovietici, costituiva una minaccia diretta anche contro la Francia e l'Inghilterra e, nell'immediato futuro, contro la Cecoslovacchia. La situazione che si era creata, metteva le grandi potenze di fronte a precise responsabilità circa la sorte dei popoli dell'Europa e del mondo. In una dichiarazione alla stampa rilasciata il 17 marzo 1938, Litvinov dichiarò: "Domani può essere già tardi ma oggi c'è ancora tempo se gli Stati, ed in particolare le grandi potenze, assumeranno una decisa ed inequivocabile posizione sulla salvaguardia collettiva della pace".132
Il governo sovietico, ancora una volta, sollecitava l'adozione di una risposta collettiva alle aggressioni, ma, ancora una volta, le potenze capitalistiche non accettarono le sue proposte. Stalin nel suo Rapporto al XVIII Congresso del PC(b) dell'URSS tenuto il 10 marzo 1939 analizzò questa situazione: "Ecco gli avvenimenti più importanti del periodo considerato, che hanno segnato l'inizio della nuova guerra imperialista. Nel 1935 l'Italia ha aggredito l'Abissinia e l'ha conquistata. Nell'estate del 1936, la Germania e l'Italia hanno intrapreso un intervento militare in Spagna, durante il quale la Germania si è installata nel Nord della Spagna e nel Marocco spagnolo, e l'Italia nel Sud della Spagna e nelle isole Baleari. Nel 1937, il Giappone, dopo essersi impadronito della Manciuria, ha invaso la Cina settentrionale e centrale, ha occupato Pechino, Tientsin, Sciangai e ha incominciato a cacciare dalle zone occupate i propri concorrenti stranieri. All'inizio del 1938, la Germania ha occupato l'Austria e, nell'autunno del 1938, la regione dei Sudeti della Cecoslovacchia. Alla fine del 1938, il Giappone ha occupato Canton e, all'inizio del 1939, l'isola di Hainan.
In tal modo la guerra, avvicinatasi ai popoli in modo così inosservato, ha coinvolto nella sua orbita oltre 500 milioni di uomini, estendendo la sfera della propria azione a un territorio immenso, da Tientsin, Sciangai e Canton, attraverso l'Abissinia, fino a Gibilterra.
Dopo la prima guerra imperialista gli Stati vincitori, soprattutto l'Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti d'America, avevano creato un nuovo regime di rapporti tra i paesi, il regime di pace del dopoguerra. Questo regime aveva per basi principali, in Estremo Oriente, il trattato delle nove potenze e, in Europa, il trattato di Versailles e un'intera serie di altri trattati. La Società delle Nazioni era chiamata a regolare le relazioni tra i paesi nel quadro di questo regime, sulla base di un fronte unico degli Stati, sulla base della difesa collettiva della sicurezza degli Stati. Tuttavia i tre Stati aggressori e la nuova guerra imperialista da loro scatenata hanno rovesciato da cima a fondo tutto questo sistema del regime di pace del dopoguerra. Il Giappone ha fatto a pezzi il trattato delle nove potenze; la Germania e l'Italia hanno fatto a pezzi il trattato di Versailles. Per avere le mani libere, tutti e tre questi Stati sono usciti dalla Società delle Nazioni.
La nuova guerra imperialista è diventata un fatto.
Ma non è tanto facile, nella nostra epoca, rompere di colpo i vincoli e gettarsi senz'altro nella guerra, senza tener conto né dei trattati di diverso genere, né dell'opinione pubblica. Ciò sanno abbastanza bene gli uomini politici borghesi. E non meno bene lo sanno i caporioni fascisti. Per questo i caporioni fascisti, prima di gettarsi nella guerra, hanno deciso di lavorare in un certo modo l'opinione pubblica, ossia di confonderla, d'ingannarla.
Un blocco militare della Germania e dell'Italia contro gli interessi dell'Inghilterra e della Francia in Europa? Ma fate il piacere, dov'è questo blocco? 'Noi' non abbiamo nessun blocco militare. 'Noi' abbiamo tutt'al più un inoffensivo 'asse Berlino-Roma', ossia una certa formula geometrica relativa all'asse.
Un blocco militare della Germania, dell'Italia e del Giappone contro gl'interessi degli Stati Uniti d'America, dell'Inghilterra e della Francia in Estremo Oriente? Ma neanche per sogno! 'Noi' non abbiamo nessun blocco militare. 'Noi' abbiamo tutt'al più un inoffensivo 'triangolo Berlino-Roma-Tokio', ossia un po' d'inclinazione per la geometria.
La guerra contro gli interessi dell'Inghilterra, della Francia, degli Stati Uniti d'America? Sciocchezze! 'Noi' facciamo la guerra al Comintern e non a questi Stati. Se non ci credete, leggete il 'patto anticomintern', concluso tra l'Italia, la Germania e il Giappone.
Così pensavano di lavorare l'opinione pubblica i signori aggressori, benché non fosse difficile vedere che tutto questo gioco grossolano di mascheramento era cucito di filo bianco, perché è ridicolo cercare i 'focolai' dell'Internazionale comunista nei deserti della Mongolia, nelle montagne dell'Abissinia, nelle forre del Marocco spagnolo.
Ma la guerra è inesorabile. Non c'è velo che possa nasconderla. Poiché nessun 'asse', nessun 'triangolo', nessun 'patto anticomintern' può nascondere il fatto che nel frattempo il Giappone si è impadronito di un enorme territorio in Cina, l'Italia dell'Abissinia, La Germania dell'Austria e della regione dei Sudeti, la Germania e l'Italia insieme della Spagna, e tutto ciò contro gli interessi degli Stati non aggressori. Così, la guerra rimane guerra, il blocco militare degli aggressori un blocco militare, e gli aggressori restano aggressori.
Il tratto caratteristico della nuova guerra imperialista è che non è ancora diventata una guerra generale, una guerra mondiale. Gli Stati aggressori fan la guerra colpendo in tutti i modi gl'interessi degli Stati non aggressori, prima di tutto quelli dell'Inghilterra, della Francia e degli Stati Uniti d'America, mentre questi ultimi indietreggiano e cedono, facendo agli aggressori una concessione dopo l'altra.
Così si produce sotto i nostri occhi in modo aperto una spartizione del mondo e delle sfere d'influenza a spese degl'interessi degli Stati non aggressori, senza nessun tentativo di resistenza e perfino con una certa condiscendenza, da parte di questi ultimi.
È incredibile, ma è un fatto.
Come spiegare questo carattere unilaterale e strano della nuova guerra imperialista?
Come è potuto accadere che i paesi non aggressori, i quali dispongono di enormi possibilità, abbiano rinunciato così facilmente e senza resistenza alle loro posizioni e ai loro impegni, per compiacere agli aggressori?
È ciò dovuto alla debolezza, forse, degli Stati non aggressori? Evidentemente, no! Gli Stati democratici, non aggressori, presi insieme, sono indiscutibilmente più forti degli Stati fascisti, sia dal punto di vista economico che da quello militare.
Come spiegare allora le concessioni sistematiche di questi Stati agli aggressori?
Si potrebbe spiegare questo fatto, per esempio, colla paura della rivoluzione, che può scoppiare se gli Stati non aggressori entrano in guerra e la guerra assume un carattere mondiale. Gli uomini politici borghesi sanno, naturalmente, che la prima guerra imperialista mondiale ha condotto alla vittoria della rivoluzione in uno dei più grandi paesi. Essi hanno paura che anche la seconda guerra imperialista possa condurre alla vittoria della rivoluzione in uno o più paesi.
Questo però, per il momento non è l'unico motivo e nemmeno il motivo principale. Il motivo principale sta nella rinuncia da parte della maggioranza dei paesi non aggressori, e innanzitutto dell'Inghilterra e della Francia, alla politica della sicurezza collettiva, alla politica della resistenza collettiva agli aggressori, sta nel passaggio di questi Stati alla posizione del non intervento, alla posizione della 'neutralità'.
Formalmente la politica del non intervento si potrebbe caratterizzare in questo modo: 'Che ogni paese si difenda dagli aggressori come vuole e come può; noi non ci entriamo e faremo degli affari tanto con gli aggressori quanto con le loro vittime'. In realtà, però, la politica del non intervento significa connivenza con l'aggressione, con lo scatenamento della guerra e, di conseguenza, la sua trasformazione in guerra mondiale. Dalla politica del non intervento trapela la volontà, il desiderio di non turbare gli aggressori nella loro azione tenebrosa: di non impedire, per esempio, al Giappone di ingolfarsi in una guerra contro la Cina o, ancor meglio, contro l'Unione Sovietica; di non impedire, per esempio, alla Germania di impegolarsi negli affari europei e di ingolfarsi in una guerra contro l'Unione Sovietica; di lasciare che tutti i belligeranti sprofondino nel pantano della guerra, di incoraggiarli di nascosto, di lasciare che si indeboliscano e si logorino reciprocamente e poi, quando saranno sufficientemente spossati, farsi avanti con forze fresche, agire, naturalmente, 'negl'interessi della pace', e dettare ai belligeranti indeboliti le proprie condizioni.
Con eleganza e a buon mercato!"
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Risulta ben chiaro dall'analisi di Stalin la vera natura della politica di "non intervento" praticata da Inghilterra, Francia e Stati Uniti che mascherandosi dietro una inesistente "volontà di pace", lasciò campo libero al dispiegarsi dell'aggressione nazifascista. L'unica politica in grado di salvaguardare realmente la pace mondiale, era quella ripetutamente proposta dall'URSS tesa alla costruzione di una politica di sicurezza e di resistenza collettiva agli aggressori. Questa politica fu osteggiata da Stati Uniti, Francia e Inghilterra non perché queste democrazie capitalistiche fossero animate da "spirito di pace", ma soltanto perché questi tre rapaci predoni imperialisti volevano, come sottolineò Stalin, una guerra "a buon mercato" per loro, una guerra in cui intervenire allorché la coalizione nazifascista si fosse sfiancata e indebolita in un conflitto con l'URSS, meglio ancora se dopo aver annientato l'URSS. Questa cinica politica gettò la sua maschera dopo l'ignobile accordo raggiunto alla Conferenza di Monaco, dove la Cecoslovacchia fu sacrificata allo scopo di scatenare l'espansionismo aggressivo nazifascista verso est, contro l'Unione Sovietica.