Documentazione
La privatizzazione regione per regione         Le risorse idriche in Italia 

Lottiamo e formiamo un largo fronte unito contro la privatizzazione dell'acqua
Documento dell'Ufficio politico del PMLI

La penuria d'acqua in tante parti del mondo ci dice che ormai il capitalismo, lungi dal mantenere le promesse di abbondanza e benessere, produce scarsità e miseria e cerca cinicamente di approfittarne facendo delle privatizzazioni la leva del suo dominio. La "globalizzazione" capitalista e imperialista, forgiata dalle politiche selvagge e neoliberiste, di rapina, saccheggio e sfruttamento, proposte e praticate attraverso le istituzioni preposte dall'imperialismo mondiale, quali FMI, Banca mondiale e WTO, ha trasformato la risorsa idrica in una merce preziosa da monopolizzare mettendo il lucchetto ai mari, fiumi e laghi dell'intero pianeta.
è opera di questi vampiri la subordinazione della concessione di prestiti a paesi poveri in cambio della gestione dei servizi idrici e delle altre "utilities" (energia, trasporti e comunicazioni) alle multinazionali estere e l'invenzione del sistema "PPP", "Partenariato pubblico privato", con cui tutto il diritto al bere dell'umanità viene orientato verso le acque in bottiglia, attraverso le concessioni alle multinazionali dell'imbottigliamento dell'acqua delle sorgenti e del rubinetto.
Del come accelerare questo processo di svendita delle aziende che erogano servizi essenziali (acqua, elettricità, gas) se ne parlerà nel dicembre prossimo al vertice di Hong Kong, nell'ambito dei cosiddetti accordi Gats. I pescecani europei saranno rappresentati congiuntamente dalla superpotenza imperialista europea, forte di una politica economica ultraliberista che ha lo scopo di assecondare con ogni mezzo l'insaziabile ricerca del massimo profitto da parte dei sempre più giganteschi monopoli europei ormai in diretta competizione con quelli delle altre superpotenze mondiali (Usa, Giappone, Russia, Cina) e della recente direttiva Bolkestein tuttora in discussione, che impone ai singoli paesi del continente la totale liberalizzazione dei servizi pubblici (acqua compresa) con annessa cancellazione delle tutele contrattuali per i lavoratori.
La borghesia monopolistica italiana sarà rappresentata, se la piazza non lo caccerà prima, dal governo del neoduce Berlusconi, che procede come un carro armato nella feroce politica economica ultraliberista, antioperaia e antipopolare di privatizzazione delle infrastrutture (rete stradale, autostradale, aeroportuale, idrica, elettrica, telefonica, ferroviaria, metropolitana) e dei servizi pubblici (sanità, scuola, trasporti, poste, depurazione e smaltimento di fanghi e rifiuti solidi urbani), per non parlare dei progetti che farebbero impallidire Reagan e la Thatcher, come la svendita delle coste, del mare, dei beni architettonici e persino delle carceri!

I PADRONI DELL'ORO BLU
Attualmente il mercato privato dei cosiddetti "servizi idrici" è dominato nel mondo da tre società europee: le francesi Suez (con la divisione Ondeo) e Vivendi (ex Compagnie Générale des Eaux) e la tedesca Rwe (con la divisione Thames Water). La Veolia Water-Vivendi e la Suez-Saur controllano già il 40% del mercato mondiale con un giro d'affari di 60 miliardi di euro. Sono presenti in tutti i continenti dove esportano il modello "pubblico-privato" inventato nel Paese transalpino, definito anche "gestione da parte di società miste". La Vivendi, che opera anche nei settori dell'energia, nettezza urbana, trasporti, telecomunicazioni e possiede l'americana Universal Picture e Canal +, è presente in oltre 100 Paesi, "disseta" 110 milioni di persone. Una indagine denuncia che in Europa e Nord America nei prossimi quindici anni il 65-75% degli acquedotti pubblici sarà controllato da queste tre società. I colossi Nestlé, Danone e Coca Cola che dominano il mercato delle fonti e quello delle bevande e delle acque purificate in damigiana, oggi l'unica fonte potabile e carissima, nei paesi cosiddetti in via di sviluppo, hanno risposto all'offensiva dei monopoli francesi e tedeschi: Coca Cola comprando due acquiferi non ancora sfruttati in Brasile, Danone acquisendo la gestione di sorgenti in Indonesia e Cina. Nel lucroso business si è gettata l'italiana plurinquisita Parmalat che ha avuto per pochi centesimi di vecchie lire al litro la concessione secolare all'imbottigliamento dell'acqua del rubinetto e dell'acquedotto in molte parti d'Italia e del mondo.
L'acqua potabile e in bottiglia dell'Italia rientra nelle grandi strategie finanziarie dei colossi dell'oro blu che intravedono grandi affari nel processo di liberalizzazione e di disgregazione federalista in atto, in un paese che è il primo consumatore al mondo di acqua minerale. Secondo l'Istat infatti ben il 50% della popolazione la preferisce a quella del rubinetto per un consumo di ben 180 litri anno per persona e pagata a un prezzo da 200 a 2.000 volte superiore. Sarà per questo che la Nestlé, che già possiede più di 260 marche d'acqua minerale in tutto il mondo, fra cui Perrier, Vittel, Contrex, ha acquisito le italiane San Pellegrino, Levissima, Panna e la Danone si è impadronita della Ferrarelle e della San Benedetto. In prima fila, nella competizione all'ultimo sangue per assicurarsi la proprietà d'accesso ai giacimenti acquiferi e alle infrastrutture, c'è la multinazionale del gas e dell'acqua Suez-Saur, che ha incominciato ad operare in Italia nel 1990, oggi occupa un posto di rilievo nella gestione del "ciclo integrato dell'acqua" in Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana, Umbria, Lazio, Molise, Calabria, Sicilia.
Oltre un milione di utenti italiani non sa di pagare la bolletta alla multinazionale francese, perché questa non compare quasi mai con la denominazione originaria. Pochi sanno ad esempio che, acquisendo l'azienda Crea Spa, la più antica nel settore dei servizi idrici, sono passati sotto il controllo della multinazionale francese i servizi idrici di una miriade di comuni delle province di Cuneo, Imperia, Perugia, Pesaro, Rieti, Torino, Trento, Treviso, Trieste, Udine, Varese, Vercelli, Siracusa per un totale di 1,2 milioni di abitanti nella distribuzione dell'acqua potabile, 2,8 milioni di abitanti nella depurazione dell'acqua. Un comunicato emesso a Parigi dalla Saur International sottolinea: "L'obiettivo è diventare il maggiore attore dell'acqua in Italia"; con quali conseguenze sul diritto universale a questo bene vitale, lo precisa Talbot uno dei dirigenti del ramo italiano: "soddisfare le esigenze di tutti è una domanda irrealistica, la scelta dei bisogni supera la capacità finanziaria e di rischio del settore privato".
Sempre a maggioranza francese è il capitale dell'altro colosso sbarcato nel nostro Paese, la già citata Veolia Water-Vivendi, grande società sorta da una costola della Vivendi Universal, che ha acquisito, il 30 luglio 2001, per 30 anni, le sorgenti e i servizi idrici dell'Ato4 di Latina (700mila abitanti) e ha rilevato il settore idrico dell'ex monopolio statale dell'energia elettrica (Enel), dopo lo "spezzatino" operato dal governo del rinnegato Massimo D'Alema. La Veolia Water attualmente distribuisce l'acqua ad oltre un milione e settecentomila italiani, mediante 10 società "miste", tra cui Siemec, Sicea, Sap e Sva, operanti soprattutto in Liguria, Piemonte e Veneto, ma è presente in maniera sempre più massiccia anche nel Mezzogiorno: in Sicilia il governatore filomafioso Salvatore Cuffaro, in qualità di commissario straordinario per l'emergenza idrica, le ha ceduto il 60% del pacchetto azionario della azienda pubblica Sicilacque Spa, ormai ex-proprietaria della rete e del patrimonio idrico siciliano.
Per quanto riguarda i monopoli nostrani, in prima fila nel grande mercato idrico di Napoli e della Campania, c'è Eni-Acque Spa controllata dal pescecane del cemento e della carta stampata Gaetano Caltagirone e dal colosso mondiale delle costruzioni Impregilo Spa della famiglia Romiti, già padrone tra le altre cose del "ciclo dei rifiuti" in Campania. Una raffica di delibere gli ha dato in mano il sistema acquedottistico campano e la gestione del servizio idrico, di fognature e depurazione dell'Ato3 sarnese-vesuviano, 1 milione e mezzo di abitanti ed investimenti pubblici previsti per 1.500 milioni di euro; a giorni sarà la volta della svendita del territorio dell'Ato2 Napoli-Volturno in cui ricadono i servizi idrici di ben 136 comuni delle province di Napoli e Caserta. Anche la società mista romana Acea spa, che gestisce 28 mila km di rete elettrica e rete idrica, dalla Campania alla Liguria, e fattura oltre 1 miliardo di euro all'anno, si è lanciata nella competizione internazionale con un accordo strategico nel campo dell'elettricità e del gas con la belga Electrabel, sesto operatore europeo del settore, controllato dalla già citata Suez. Acea è oggi il primo operatore nel settore idrico in Italia con una quota pari al 12% della popolazione nazionale: le società del gruppo gestiscono direttamente o indirettamente i servizi idrici integrati in Liguria, Toscana, Lazio, Campania.
Forti delle posizioni conquistate nella madrepatria le più grandi "local utilities" italiane stanno puntando con decisione sui Paesi dell'Europa orientale, in particolare quelli dell'area balcanica. Infatti, spiega uno studio di Agici, in quei Paesi il processo di liberalizzazione dei servizi pubblici locali è stato avviato da poco tempo, e gli spazi non sono stati ancora occupati dai grandi "player" internazionali, come invece accaduto in Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria. Lo studio sottolinea come alla base dell'interesse degli operatori italiani per i Paesi balcanici ci siano anche la loro insufficiente capacità di generazione elettrica, i programmi di finanziamento comunitario e le carenze infrastrutturali nel settore ambientale. Senza dimenticare la contiguità geografica. Fra le aziende italiane già impegnate in questi Paesi ricordiamo Acea di Roma, che opera in Albania e Armenia, Acegas-Aps di Trieste e Padova in Slovenia e Croazia, Aem di Milano in Russia e Slovenia, Amga di Genova in Russia, Slovenia e Albania, Amga di Udine in Croazia, Cpc Concordia di Modena in Romania.
La corsa dei monopoli nostrani all'esportazione di capitale fuori dai confini nazionali avviene in analogia e in risposta alla penetrazione nel nostro Paese, soprattutto del Sud Italia, dei trust monopolistici stranieri. Una competizione che boccone dopo boccone, sta divorando il grande patrimonio delle ex-aziende municipalizzate (circa 800 con 250.000 dipendenti e un fatturato di circa 50.000 miliardi di vecchie lire) e che sta affilando le armi per l'assalto al bicchiere più grosso: l'acquedotto pugliese-lucano, il più grande d'Europa con oltre 5 milioni di utenti, anch'esso appositamente trasformato in una Spa, oggi quotata in borsa, dal governo di Massimo D'Alema.

LA LEGGE GALLI AVVIA LA SVENDITA AI PRIVATI DEI "SERVIZI IDRICI INTEGRATI"
La sovrastruttura giuridica da noi, come nel mondo, non fa che assecondare il processo di centralizzazione del capitale, caratteristico dell'epoca dell'imperialismo, che genera sempre più sfruttamento, oppressione, guerre e occupazioni di rapina, miseria, fame, disoccupazione, prostituzione, emigrazione di massa, devastazione dell'ambiente e inquinamento, ma anche le nuove e più profonde disuguaglianze economiche e sociali fra i paesi più ricchi e quelli più poveri, fra le classi sfruttatrici e le classi sfruttate. Di seguito proveremo a spiegare come avviene in concreto la liberalizzazione e la privatizzazione, sia su scala europea che nazionale e regionale, dei servizi idrici, acquedotti, reti distributive, fognature, depuratori.
Il primo passaggio decisivo è la trasformazione della personalità giuridica dell'ente gestore, da pubblica a Spa privata, operante cioè con le regole e le finalità del mercato capitalista e dove il pubblico, anche se mantenesse la maggioranza del pacchetto azionario, non può che diventare un imprenditore privato, la cui finalità principale è quella degli utili, dei dividendi, della conquista di nuovi mercati, essendo sottoposto alle regole del mercato e della concorrenza delle multinazionali che controllano l'acqua in centinaia di paesi del mondo. Come succede nel caso della già citata Acea Spa: i profitti provenienti dalle bollette che pagano gli utenti della capitale dell'Armenia, dell'Albania, delle principali città del Perù e dell'Honduras, nonché di Bogotà e di Santo Domingo, finiscono nelle casse del Comune di Roma, titolare del 51% delle azioni dell'azienda "mista" che gestisce l'acquedotto locale.
Questa svolta controriformatrice, funzionale alla completa privatizzazione del ciclo dell'acqua, è sancita nella legislazione italiana dalla Legge Galli, "Disposizioni in materia di risorse idriche" (L. 36/94), approvata durante il governo Ciampi. Essa prevede infatti la possibilità di "cessione o affidamento della gestione dei servizi idrici a delle Spa". In tal caso la legge garantisce a quest'ultime non solo l'accesso ai finanziamenti pubblici, ma anche la remunerazione del capitale investito con l'imposizione alla popolazione del pagamento del servizio esclusivamente con tariffa. Ed è precisamente allo scopo di privatizzare in blocco interi bacini idrografici ed infrastrutturali, e non certo per migliorare la gestione del ciclo delle acque, che la legge in questione prevede la creazione del "servizio idrico integrato", cioè dell'insieme dei servizi "pubblici" di captazione, distribuzione dell'acqua, di fognatura e di depurazione, e l'allargamento del territorio di riferimento dall'ambito comunale a quello comprensoriale, il cosiddetto Ambito Territoriale Ottimale (ATO).
La gestione vera e propria di quest'ultimo è intesa come "funzione imprenditoriale" ed è attribuita ad un'azienda di servizi detta "Gestore", ossia l'azienda che materialmente fornisce i servizi di acqua potabile, smaltimento e depurazione. La funzione pubblica viceversa, "di competenza dell'Autorità di Ambito (AATO)" si esaurisce nella definizione del cosiddetto "Piano d'ambito", pomposamente detto "strumento di programmazione dell'AATO" ma che non è altro che una "ricognizione sullo stato degli impianti esistenti di adduzione, distribuzione, fognatura e depurazione, delle risorse finanziarie, delle strutture e del personale", preliminare all'affidamento o concessione, chiavi in mano, del servizio al gestore privato. Dopodiché è chiaro che la "definizione del piano degli investimenti e finanziario", "degli interventi che dovranno essere realizzati", della "programmazione, organizzazione e controllo dell'attività del gestore" rimangono solo in teoria funzioni pubbliche virtuali: chi potrà impedire, ad esempio, ad una multinazionale che diviene "gestore", di vendere l'acqua al prezzo più alto possibile spendendo il meno possibile, secondo quanto prevede la legge suprema capitalistica del massimo profitto?
Il sistema tariffario, prima parzialmente a carico della fiscalità generale, viene caricato integralmente sugli utenti, i quali d'ora in avanti dovranno coprire "i costi di gestione e le spese di funzionamento" sia dell'AATO che del gestore, "le opere di manutenzione e di adeguamento della rete idrica, delle fognature, della depurazione", "i costi degli investimenti", "gli ammortamenti", "il canone pagato dal gestore", "la remunerazione del capitale investito (al 7%)", "gli interessi passivi sui mutui", "l'inflazione programmata", "l'IVA" e chi più ne ha più ne metta. Per quanto riguarda la "tariffa d'acquedotto" è ristrutturata in: una "quota fissa mensile o annuale", per il nolo del contatore; una "tariffa agevolata" per coprire i "consumi essenziali"; una "tariffa base", pari al costo medio, da applicare oltre la fascia dei consumi agevolati; da una a tre "fasce tariffarie punitive" per i consumi eccedenti la fascia dei consumi di base.
Questo sistema, basato sulla "tariffa base" per calcolare la quale l'Ente deve partire dai costi del servizio e dividerli per il volume annuo che ipotizza di erogare, ha avuto la sua prima applicazione ad Arezzo dove il gestore pubblico-privato - sperimentato per la prima volta in Italia proprio in quella città - si è rifiutato di effettuare lavori di ammodernamento di alcuni impianti obsoleti preferendo raddoppiare i consumi d'acqua "altrimenti - dice un comunicato rivolto alla cittadinanza - la tariffa non può mantenersi competitiva".
Addirittura la legge Galli prevede che questo fiume di denaro prelevato dalle tasche del popolo debba essere girato a quelle dei predoni dell'acqua anche nel tempo che intercorre tra la delibera di affido e l'effettivamente presa in carico della gestione dei servizi, che la tariffa relativa alle fognature debba essere pagata anche dagli utenti non allacciati alla fognatura pubblica e la quota relativa alla depurazione anche se non c'è il depuratore.
Se queste sono le vistose mostruosità della legge Galli, come specchietto per le allodole essa prevede "il miglioramento della manutenzione delle reti per ridurre le perdite", "la realizzazione, nei nuovi insediamenti abitativi di reti duali: doppia tubatura e doppio rubinetto per acqua potabile di qualità ed acqua non potabile per usi non alimentari", "l'incentivazione del riutilizzo delle acque reflue e depurate anche attraverso agevolazioni alle imprese che adottano impianti di riciclo". Disposizioni queste ultime che restano, ad oltre dieci anni di distanza, del tutto inapplicate: riguardo le reti duali non esiste, a livello italiano, alcuna esperienza concreta di realizzazione, neppure in via sperimentale, del riutilizzo delle acque reflue dei depuratori; si ha notizia di progetti di riuso in campo industriale ed agricolo solo presso le province di Prato e Pistoia.

LE DIRETTIVE UE E LE FINANZIARIE DEL GOVERNO BERLUSCONI COMPLETANO L'OPERA
Se la legge Galli del 1994 ha aperto concretamente la via all'entrata delle aziende private nella gestione del "ciclo dell'acqua", il quadro normativo europeo e quello italiano degli anni successivi, soprattutto quello relativo alla devolution federalista, ha spinto sempre di più in questa direzione di marcia. Dato che la legge Galli consente ancora, in via ipotetica, il mantenimento della gestione dei servizi da parte dei Comuni, prevista dalla legge-quadro degli enti locali n° 142/90 all'articolo 22, le istituzioni dell'imperialismo europeo e i governi che si succedono alla guida del Paese utilizzano ogni grimaldello per scongiurare del tutto questa possibilità discrezionale da parte degli enti locali. In primo luogo spingendoli a trasformare le aziende municipalizzate in società per azioni (Spa) e in secondo luogo mettendo dei vincoli ai cosiddetti "affidamenti diretti" a queste ultime.
La cosiddetta "gestione in house", ossia l'affidamento diretto del servizio ad una Spa pubblica, viene bollata come "non rispondente a criteri di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza" definiti dalle direttive Ue, la 93/38 (cd. "settori esclusi", recepita con DLgs 158/95 su "procedure di appalto degli enti erogatori di acqua, energia e trasporti") e la 97/52 (recepita dal DLgs 157/95, su "procedure di aggiudicazione appalti pubblici e servizi").
La Commissione europea con lettere indirizzate all'Italia in data 08.11.2000 e 26.06.2002. ammonisce governo, regioni ed Ato affermando che dove viene applicata la legge Galli, ossia la separazione della titolarità pubblica dalla gestione privata, l'"ordinamento giuridico comunitario prevede l'obbligo di bandire gara pubblica europea sia per l'affidamento di lavori che per la scelta del gestore dei servizi".
I governi del "centro-sinistra" tentano allora di sancire questi diktat europei con disegni di legge di modifica al DLgs. n° 267/2000, cd. "Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli Enti Locali", presentati a firma di Napolitano e Vigneri dei DS, che andavano a modificare l'art. 113 (forme di gestione - ex art. 22) comma 2, in questo modo: "I servizi pubblici locali di erogazione di energia, esclusa quella elettrica, di distribuzione del gas naturale, di gestione del ciclo dell'acqua, di gestione dei rifiuti e di trasporto collettivo di linea (...) sono affidati (...) ad uno o più gestori, pubblici o privati, scelti esclusivamente in base a gara a norma dell'art. 114 ter".
Nel 2001 la smania ultraliberista viene ereditata e rilanciata dal governo del neoduce Berlusconi, che, camuffandola all'interno della legge finanziaria 2002 (n°448/2001), impone l'infame art. 35, votato congiuntamente dai due poli del regime, che imprime un colpo di acceleratore a tutto il processo di privatizzazione: entro il 2004 tutte le municipalizzate e aziende di servizi pubblici del paese devono essere trasformate in S.p.A.; per la stessa data il 40% del patrimonio di infrastrutture, servizi e forza-lavoro di queste ultime, che ancora gestiscono il 60% dei servizi idrici italiani dovrà essere ceduto ad aziende private, con l'obbligo della gara per l'affidamento del servizio idrico al gestore privato, pena la perdita dei finanziamenti Ue, essendo quelli governativi già ridotti al lumicino dai "tetti di spesa" imposti dal governo agli enti locali. Gli ex-servizi pubblici, viene ribadito, devono considerarsi "industriali", quindi pagati in toto degli utenti.
Si tratta di norme, di palese incostituzionalità, che stanno dando il colpo di grazia alla gestione pubblica del servizio idrico, escludendo di fatto la gestione diretta della distribuzione dell'acqua da parte degli Enti Locali, e più in generale stanno stravolgendo la filosofia dell'erogazione di servizi in Italia negli ultimi 100 anni, da quello idrico ai trasporti pubblici, alla raccolta e smaltimento dei rifiuti, all'erogazione di energia elettrica e di gas portando alle estreme conseguenze quanto previsto nella legge Galli, nel DLgs n. 422 del 1997 sul trasporto pubblico locale, nel DLgs. n. 76 del 1999 in materia di energia elettrica, nel DLgs. n. 164 del 2000 in materia di gas naturale.
Il comma 5 dell'art. 35, che sostiene che "si può rinviare l'appalto rivolto a società di capitali ricorrendo a forme di affidamento diretto, a società di capitale pubbliche con l'obbligo che entro due anni queste procedano ad una privatizzazione di almeno il 40% e che la durata dell'affidamento di gestione può essere di 4 anni aumentabili di 1 se la privatizzazione sarà del 50%", è un compromesso per salvaguardare le grandi holding finanziarie pubblico-private italiane già esistenti (come la romana Acea, l'Atm spa di Milano, Eniacqua spa, ecc.) che possono così ricevere in affidamento diretto "temporaneo" il ciclo delle acque in determinati ATO, e aprire con una certa gradualità alle grandi multinazionali straniere". Il padre del federalismo fiscale, il diessino Bassanini, commentando questo comma ha avuto l'ardire di sostenere che il governo "non ha abbastanza coraggio in tema di liberalizzazione dei servizi" (Sic.).

LE CONSEGUENZE SOCIALI ED AMBIENTALI
Per avere un'idea delle conseguenze a breve termine per il proletariato e le masse popolari, oltre il caso di Cochabamba, in Bolivia, dove l'aumento improvviso delle tariffe del 300% ha scatenato la rivolta popolare che ha fatto cadere il governo, citiamo uno studio condotto in Inghilterra subito dopo l'espropriazione dei servizi idrici, che rivela come nel solo 1994 le utenze disconnesse sono state 18.636, le tariffe cresciute del 50%, l'occupazione nel settore in dieci anni calata del 21,5% così come gli investimenti sulla rete, i profitti viceversa sono aumentati del 147% così come le paghe degli alti dirigenti (dal 50 al 200%).
Cosa accadrà nel nostro Paese, dove la privatizzazione dell'acqua si innesta su di una situazione ambientale e infrastrutturale antecedente ben più grave e drammatica di quella della Gran Bretagna, e in certi casi, come nel Sud, ben più vicina a quella dei paesi del Terzo Mondo? Senza considerare il peggioramento delle condizioni di lavoro e dei diritti dei lavoratori.
I governi che si sono succeduti dal dopoguerra ad oggi in Italia hanno condotto sistematicamente a termine un processo di rapina e distruzione della natura e del territorio, cosicché oggi l'Italia è un Paese in pieno dissesto idrogeologico, come si può evincere dal susseguirsi sempre più ravvicinato di disastrose alluvioni tra cui: Bormida 1992, Po 1994 e 2000, Sarno 1998, Soverato nel 2000, e devastato dall'inquinamento delle acque, eclatante in tal senso la condizione in cui versano il bacino imbrifero del Sarno, il più inquinato d'Europa, e i laghi prealpini.
I fiumi, persino nei "parchi naturali", sono intaccati a monte nelle loro difese naturali, cementificati negli argini e le acque, che siano sorgive o sotterranee, dei fiumi o dei laghi, sono aggredite dagli scarichi delle industrie e delle aziende agricole, stimolate a inquinare da controlli e sanzioni irrisori o inesistenti, dalle discariche di rifiuti di ogni tipo (vedi il caso del "triangolo della morte" tra Acerra, Nola e Marigliano con alti tassi di diossina in tutto il "ciclo vitale"), dagli sventramenti delle "Grandi Opere", come i trafori (vedi il caso del Gran Sasso) e l'Alta Velocità ferroviaria (vedi lo scempio del Mugello), ma anche dalle dighe (delle 50 siciliane ben 44 non sono state ancora collaudate), dalle miniere, dagli inceneritori, dalle centrali termoelettriche, dalle cave sfruttate senza alcuna "valutazione di impatto ambientale", dall'abusivismo e dalla speculazione edilizia (un esempio dei tanti, il "Centro direzionale" di Napoli costruito sopra un fiume, il Sebeto le cui acque non sgorgano più a mare, ma nelle fondamenta degli edifici).
Ancora l'Italia è un Paese in cui il 75% dei prelievi e dei consumi di acqua dolce sono destinati, ad un prezzo irrisorio, alla produzione (55% agricoltura, 20% industria ed energia). Di questi solo un 10% risulta censito e fatturato a causa dell'alto tasso di abusivismo e dei pozzi illegali ad uso agricolo (almeno 1 milione e mezzo) mentre tutta l'acqua fatturata (90%) proviene dagli usi domestici.
La rete infrastrutturale è un colabrodo con perdite medie della risorsa idrica nel settore civile del 30-40% e picchi fino al 75% nel Centro e nel Sud, per cui un terzo della popolazione non ha accesso all'acqua potabile, quasi la metà non può usufruire delle infrastrutture fognarie ed oltre un terzo è privo di un sistema di depurazione delle acque, intere regioni, come la Sicilia e la Puglia "vivono" in continua emergenza acqua, a Palermo come a Napoli e Bari non è affatto raro il riscontrare colibatteri fecali provenienti dalle fogne nell'acqua del rubinetto.
Quale spazio vi potrà mai essere, nei piani dei colossi dell'acqua, per questi drammatici problemi della qualità dell'acqua, della sicurezza degli impianti, dell'inquinamento ambientale e della difesa degli ecosistemi? Cosa accadrà in caso di accordi o fusioni tra i padroni delle acque minerali e gli sciacalli delle sorgenti e degli acquedotti? Ad esempio: per costringere i consumatori ad acquistare l'acqua in bottiglia, non è lecito aspettarsi che le multinazionali facciano ricorso anche all'occorrenza alla diffusione dolosa di notizie sulla scarsa qualità dell'acqua del rubinetto o ad altrettanto dolose interruzioni del servizio idrico? Nei campi e nelle aziende quanti posti di lavoro saranno sacrificati per perfezionare la concentrazione di capitale e renderla competitiva al massimo rispetto ai concorrenti stranieri? Quale multinazionale può avere mai l'interesse di riciclare l'acqua piuttosto che consumarla?
è abbastanza evidente che questi predatori, con l'arma del ricatto, si garantiscono amministrazioni locali e centrali sempre più corruttibili e asservite ai loro interessi, incapaci cioè di porre un qualsivoglia argine alla devastazione ambientale, alla deforestazione, al depredamento ed esaurimento progressivo delle risorse, all'aumento generalizzato delle tariffe, alla negazione del diritto all'acqua per chi non può pagare, al peggioramento delle condizioni di lavoro nel settore, alle esternalizzazioni ed ai tagli nell'indotto, agli appalti e subappalti per la costruzione e per la manutenzione delle dighe, dei depuratori, delle condotte idriche e fognarie controllati da rami della stessa multinazionale o affidati alle "cure" della mafia, comunque denominata. A questo proposito ci chiediamo in quale pozzo senza fondo andranno a finire 2.162 milioni di euro di finanziamenti pubblici stanziati tra il 2002 e il 2010 per l'emergenza idrica nel Mezzogiorno?
Il fosco scenario che ci si apre dinanzi è dunque ipotecato dalla legge della giungla, dall'anarchia totale nella distribuzione delle risorse idriche per usi civici, industriali, agricoli ed energetici, dall'impossibilità di programmare una distribuzione equa ed universale dell'acqua in base ai fabbisogni abitativi e produttivi, dall'accentuazione del sottosviluppo e della "colonizzazione" del Sud, dall'abbandono delle zone agricole e depresse, dalla minaccia di guerre intestine, finanziarie e commerciali, tra multinazionali, e di riflesso tra comuni, tra province, tra regioni, per il possesso di risorse idriche e infrastrutture sempre più indispensabili all'esistenza stessa dei territori. Si pensi ad esempio alle contese che già si stanno accendendo per il possesso del bacino imbrifero dei fiumi Garigliano e Volturno al confine tra Lazio e Campania, o per le sorgenti dei monti del Matese che separano il Molise dalla Campania, con la rinegoziazione continua dei flussi addotti dagli impianti del relativo acquedotto, o ancora ai monti dall'Irpinia e a quelli lucani che riforniscono l'acquedotto pugliese.

LE CONSEGUENZE ECONOMICHE
Osservando quanto sta accadendo a livello mondiale possiamo vedere questi giganteschi monopoli nei settori del trasporto e distribuzione delle risorse idriche ed energetiche, formatisi a immagine e somiglianza di quelli impegnati nell'estrazione delle materie prime (petrolio, ecc), strappare violentemente al controllo pubblico i servizi essenziali e, imponendo il prezzo di monopolio nella vendita dell'acqua, annientare i concorrenti e garantirsi enormi plusprofitti da accumulare nella rendita fondiaria, la quale a sua volta porta con sé l'aumento incontrollato del prezzo della terra con un effetto esponenziale sul processo di espropriazione del suolo, ossia sul processo di colonizzazione e spoliazione di sempre più vasti territori.
Quando poi la rendita fondiaria parassitaria viene consolidata all'interno delle grandi banche, ossia quando il plusprofitto del capitale fondiario si somma a quello derivato dal capitale finanziario parassitario, le possibilità delle multinazionali divengono potenzialmente illimitate. Esse possono a loro piacimento assetare un pezzo di terra, un'azienda, un gruppo di aziende e persino un intero settore o comprensorio industriale concorrente per fagocitarlo o per utilizzare il suolo a scopi maggiormente remunerativi, possono cristallizzare i capitali rubati al popolo e ai lavoratori nei settori parassitari della speculazione borsistica o edilizia (largamente dominati dalle holding della mafia), possono effettuare accordi e fusioni con le grandi imprese private che operano nel cosiddetto "ciclo dei rifiuti", con le grandi multinazionali delle biotecnologie che dominano il mercato mondiale dei mangimi, delle sementi e colture transgeniche, e perché no con le industrie d'armi che tramite il ciclo distruzione-ricostruzione permettono ai monopoli dell'acqua di esportare capitali e impossessarsi delle risorse e servizi idrici dei paesi colonizzati, come sta già avvenendo nel caso dell'Acquedotto pugliese Spa presente accanto alle raffinerie dell'Eni nel territorio di Nassiriya. Le multinazionali prenderebbero infine il posto delle amministrazioni pubbliche nelle alleanze banditesche con l'economia mafiosa che si è già appropriata delle falde acquifere e dei pozzi più ricchi della Sicilia mentre la popolazione è costretta ad acquistare l'acqua pubblica, che non arriva nei rubinetti, a peso d'oro dai privati.
In ultima analisi mettere l'acqua nelle mani delle multinazionali significa minare quelle che sono le fonti di ogni ricchezza: la terra e l'operaio. Visto che l'acqua in agricoltura funge da elemento vitale, la prima vittima dell'accrescimento del monopolio dello sfruttamento capitalistico della terra e della proprietà fondiaria privata sarà proprio la sottomissione del settore agricolo, già in grave difficoltà nel nostro Paese, con immediate conseguenze in termini di occupazione, estensione degli appezzamenti, fertilità e produttività del suolo. La seconda vittima sarà l'industria, per la quale l'acqua è una specie di "sistema vascolare", potendo fungere a seconda del posto occupato nel processo produttivo da materia prima (ad esempio in una centrale idroelettrica), da mezzo di lavoro, da materia ausiliare, o tutte e tre le cose contemporaneamente (industria chimica). Dare il sistema vascolare dell'industria nelle mani delle multinazionali significa prima ipotecare il sistema produttivo, bloccandone qualsiasi possibilità di sviluppo, poi provare a superare l'ostacolo con una forsennata esportazione di capitale, infine, inevitabilmente fare sprofondare il Paese nel vortice delle crisi economiche sempre più lunghe e devastanti e delle guerre interimperialiste.
Questa forsennata gara tra gli struzzi a chi scava la fossa più profonda, ci porta al punto di arrivo e di non ritorno: la progressiva riduzione e infine l'esaurimento dell'acqua da utilizzare a fini agricoli, industriali, energetici e civili.
Citiamo dal capolavoro di Karl Marx, "Il Capitale": "Dovunque le forze naturali possano essere monopolizzate e garantiscono all'industriale che le utilizza un plusprofitto, si tratti di cascate o di ricche miniere o di acque da pesca, oppure di terreni fabbricabili in buona posizione, colui che, godendo di un titolo che gli dà diritto ad una porzione del globo, ha il marchio di proprietario di questi beni naturali, sottrae al capitale operante questo plusprofitto sotto forma di rendita. (...) Questa forma di rendita si distingue... per la tangibile e totale passività del proprietario, la cui attività consiste unicamente... nello sfruttare il progresso dello sviluppo sociale al quale egli non contribuisce e per il quale non rischia nulla, come tuttavia fa il capitalista industriale, e infine per la preponderanza del prezzo di monopolio in molti casi, particolarmente per lo sfruttamento assolutamente spudorato della miseria... e per il tremendo potere che questa proprietà fondiaria conferisce, quando è unita al capitale industriale nella stessa persona, che permette praticamente di escludere i lavoratori per i salari dalla terra dove abitano. Una parte della società pretende qui dall'altra un tributo per il diritto di abitare la terra, come in generale nella proprietà fondiaria è incluso il diritto del proprietario di sfruttare la terra, le viscere della terra, l'aria e quindi la conservazione e lo sviluppo della vita"(1).
Dal capolavoro di Lenin, "L'imperialismo, fase suprema del capitalismo" citiamo: "La caratteristica fondamentale del modernissimo capitalismo è costituita dal dominio delle leghe monopolistiche dei più grandi imprenditori. Tali monopoli sono specialmente solidi, quando tutte le sorgenti di materie prime passano nelle stesse mani", cosicché "quanto più il capitalismo è sviluppato, quanto più la scarsità di materie prime è sensibile, quanto più acuta è in tutto il mondo la concorrenza e la caccia alle sorgenti di materie prime, tanto più disperata è la lotta per la conquista delle colonie" (2).

IL MOVIMENTO CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DELL'ACQUA
Per spiegarsi la causa prima della sete e delle terribili malattie causate dall'acqua inquinata che sterminano, ogni minuto che passa, la popolazione dei paesi poveri, bisognerebbe partire dai passi sopra citati per darsi una spiegazione convincente di quel miliardo e 680 milioni di persone che nel mondo, nel 2005, sono prive dell'accesso all'acqua, per spiegarsi come mai una persona su tre non ha accesso ai servizi di sanificazione e una su due non gode di un sistema di trattamento delle acque reflue,
Già dal 1° Forum mondiale di Porto Alegre, attraverso un documento, facevamo notare proprio su questo punto che, a causa di una direzione riformista, il movimento "non muove da un'analisi di classe del mondo, non ha coscienza della natura, delle caratteristiche e della politica dell'imperialismo e non lo individua come il nemico da combattere e abbattere. Men che mai ha compreso la natura imperialista della superpotenza europea ai cui interessi rischia di essere subordinato e strumentalizzato (...) la stessa piattaforma rivendicativa, pur condivisibile in molte parti, risente fortemente della egemonia riformista e cattolica e del fatto che non si vuole mettere nel mirino la politica degli Stati, dei governi e delle sue istituzioni borghesi e imperialiste"(3).
Anche nel movimento contro la privatizzazione dell'acqua, per tarpargli le ali si propagandano tesi illusorie e ingannatorie, frutto di un ormai vecchio e fallimentare riformismo e pacifismo borghesi, come quella secondo la quale un mondo realmente diverso, una "società più giusta, più libera, più solidale" può nascere nell'ambito del capitalismo stesso, attraverso la semplice lotta al neoliberismo, sottraendo cioè il dominio della "globalizzazione" alle multinazionali per restituirlo alle istituzioni politiche e statali adeguatamente "riformate" e supportate dalla cosiddetta "democrazia partecipata", che in Italia ha la sua espressione nel "Bilancio partecipato".
Per noi anche se a capo del Wto andasse Beppe Grillo, come da recente proposta-provocazione lanciata dalla Rete Lilliput, la situazione del mondo non cambierebbe di una goccia, e un analogo discorso vale per le "consulte del diritto all'acqua da istituire in ogni ATO per promuovere e garantire la gestione partecipativa del servizio idrico integrato" ma che essendo minoritarie e avendo potere unicamente consultivo non potranno che rendersi complici delle decisioni prese da queste istituzioni.
I comitati in difesa dell'acqua stanno capendo per esperienza diretta dove porta questa via, guardando senza infingimenti all'operato delle amministrazioni di Roma, Napoli o a quelle Toscane, tutte governate dal "centro-sinistra" e con propri assessorati al "bilancio partecipato". Esse non hanno dato forse l'acqua nelle mani delle multinazionali pugnalando alle spalle le associazioni e i movimenti che si battono contro la privatizzazione e mercificazione delle risorse idriche? La loro arroganza antipopolare non è l'ennesima dimostrazione che la "democrazia partecipata", che il trotzkista Bertinotti spaccia per "democrazia diretta" e a cui i suoi apologeti assegnano il compito di esercitare il controllo della "società civile" sull'operato degli Stati, delle imprese e sul funzionamento del mercato, in realtà è il trucco con cui si tenta di recuperare il consenso e di coinvolgere le masse nelle istituzioni rappresentative borghesi e di evitare uno sbocco rivoluzionario alle lotte antimperialiste dei popoli e del proletariato?
Nel "Manifesto italiano dell'acqua 2005", redatto in febbraio dal "Contratto mondiale dell'acqua", viene ribadito l'obiettivo di "ridare credibilità e capacità al governo pubblico" vaneggiando la nascita di un "governo pubblico mondiale che promuova una democrazia sopranazionale e prenda possesso dei grandi corpi idrici che attraversano le frontiere degli stati". Questa "nuova" autorità mondiale dell'acqua si dovrebbe dotare - leggiamo testualmente "di un organo di risoluzione dei conflitti sull'esempio, rivisto, di quello operante in seno al Wto". L'operato molto concreto a favore della privatizzazione dei servizi da parte delle attuali istituzioni imperialiste viene definito "la non politica sull'acqua", una semplice "abdicazione politica ed etica" mentre si afferma addirittura che "la posizione della commissione europea sui servizi idrici è improntata alla neutralità istituzionale". Il ruolo di copertura dell'Europa delle banche e dei padroni è fin troppo chiaro quando si sostiene che "il parlamento europeo costituisce una grande conquista del popolo europeo" e addirittura, contro ogni evidenza, che esso "sta diventando uno strumento importante sul cammino della democrazia sopranazionale".
E ancora ci chiediamo: perché tale documento non attacca mai il nemico giurato numero uno del popolo italiano, il privatizzatore per eccellenza, ossia il governo del neoduce Berlusconi, e non invoca la necessità immediata di buttarlo giù con la piazza? Perché non rivendica l'abrogazione della legge Galli e addirittura, per bocca di uno dei leader nazionali, Riccardo Petrella, invita le masse ad entrare nell'azionariato sociale delle multinazionali?
Anche quando scende sul piano rivendicativo non va oltre la cosiddetta gestione "In House" ossia l'affidamento diretto dei servizi idrici ad Aziende speciali, ossia Spa a capitale pubblico, tanto pomposamente quanto illusoriamente definite "Gestione alternativa" a quella delle multinazionali, e cade nel capitolazionismo, stile Onu, quando fa scendere la soglia da garantire a tutti a soli 40 litri/die e propone un sistema di tassazione diviso in tre fasce ("del diritto", "della sostenibilità", "del divieto"), appena appena più sopportabile di quello instaurato dalle legge Galli.
L'"Associazione Rete del Nuovo Municipio", nel "documento rivolto ai candidati alle elezioni regionali 2005" dal titolo "Un programma elettorale e di governo per la Toscana" e ancora nei documenti per il forum di Barcellona, è arrivata persino a proporre ai movimenti la rivendicazione del "federalismo municipale", come applicazione del principio di "sussidiarietà" per raggiungere "una globalizzazione dal basso, solidale e non gerarchica", come se la forma di Stato federalista e la forma di governo presidenzialista che sta assumendo la seconda repubblica capitalista e neofascista non siano due facce delle stessa medaglia funzionali alla globalizzazione imperialista, che tramite queste forme di dominio politico attua la cancellazione dello "Stato sociale" e la politica selvaggia di privatizzazioni dei servizi pubblici, acqua compresa.
è questa lettura strabica che non vede altro che l'orizzonte dell'elettoralismo, del parlamentarismo, del legalitarismo borghesi e abbocca persino all'amo della gretta e localistica politica federalista di stampo preunitario portata avanti da Bossi e da governatori affamatori e controriformatori, come i rinnegati Martini o Bassolino, che va sconfessata e battuta nelle assemblee generali dei "Comitati civici", che devono essere sovrane e basate sulla democrazia diretta. Solo così si potrà sfangare dal pantano, creare un grande movimento nazionale contro la privatizzazione dell'acqua, e imboccare senza indugio la strada della lotta di classe, di piazza e di massa, sull'esempio della vittoriosa rivolta del popolo boliviano contro la privatizzazione dell' acqua e del gas e di quella delle masse popolari di Scanzano Jonico contro i rifiuti nucleari.
Ci preme infine sottolineare che tutte queste nostre osservazioni critiche sono mosse da uno spirito unitario e di fronte unito. Per questo abbiamo partecipato attivamente e con funzioni organizzative e politiche al meeting internazionale di Mediterracqua, svoltosi a Catania nel novembre del 2003, durante il quale si è discusso del diritto dell'acqua insieme a decine di rappresentanti dei movimenti e dei popoli del Mediterraneo; per questo facciamo parte dei Comitati civici della Campania contro la privatizzazione dell'acqua; per questo abbiamo sostenuto e continueremo a sostenere le battaglie come quella della "Rete dei movimenti della Toscana" che sta raccogliendo le firme per la "proposta di legge di iniziativa popolare" per bloccare e invertire il processo di privatizzazione e sancire che "l'acqua è un diritto e non una merce"; per questo, laddove siamo presenti, stiamo lavorando fianco a fianco anche con coloro che non hanno ancora compreso che una "globalizzazione dal volto umano", una "globalizzazione di sinistra" non esiste e mai potrà esistere, e che l'unico mondo possibile in alternativa a questo mondo dominato dall'imperialismo, è un mondo socialista che nasce dalle macerie dell'imperialismo e dalla conquista del potere politico da parte del proletariato. Come afferma Marx solo "dal punto di vista di una più elevata formazione economica della società, la proprietà privata del globo terrestre e delle sue risorse vitali da parte di singoli individui apparirà cosi assurda come la proprietà privata di un uomo da parte di un altro uomo" (4).
Come ogni componente del movimento, anche il PMLI ha la propria piattaforma rivendicativa sull'acqua. I marxisti-leninisti sono pronti a discuterla con le compagne e i compagni di lotta, indipendentemente delle differenze ideologiche, politiche e di partito, e pienamente disponibili a lavorare per elaborare una piattaforma unitaria dei Comitati di cui fanno parte.

LA PIATTAFORMA RIVENDICATIVA DEL PMLI SULL'ACQUA

Gestione pubblica e democratica delle risorse idriche nazionali:
1 - Approvare una legge organica nazionale sulla gestione interamente pubblica del servizio idrico integrato, la quale garantisca il coinvolgimento delle masse popolari italiane nella gestione pubblica dell'acqua, accolga come vincolanti i pareri, le proposte e le critiche provenienti dai Comitati, dalle Assemblee, dai forum popolari locali e nazionali sul diritto all'acqua e dia alle masse popolari l'ultima parola sui finanziamenti relativi ai servizi idrici in Italia.
2 - Abrogare la Legge Galli n° 36/94.
3 - Cancellare l'art. 35 della Legge finanziaria 2002, il conseguente obbligo di privatizzazione di almeno il 40% di quelle Spa che gestiscono il servizio idrico, e tutte le successive norme privatizzatrici a livello nazionale, regionale e di Enti locali.
4 - Divieto di cessione, sotto qualsiasi forma, a terzi delle risorse idriche demaniali e delle infrastrutture che assicurano i servizi idrici, di fognatura e depurazione.
5 - Abrogare tutte le delibere regionali, provinciali, comunali e ATO che prevedono la cessione dei servizi-idrici integrati o parti di essi ai privati ed automatica rescissione senza alcun riscatto di tutti i contratti e le concessioni stipulate tra gli ATO e i privati, comprese le società "miste".
6 - La gestione del servizio idrico-integrato deve prevedere un'unica possibilità: la costituzione in consorzio pubblico dei comuni dell'ATO.
7 - I consorzi devono costituire società speciali di diritto pubblico per gestire il servizio idrico integrato e gli impianti.
8 - Divieto di costituzione su tutto il territorio nazionale di Spa sia a capitale privato, sia misto, sia pubblico, per la gestione del servizio idrico integrato.
9 - Divieto di costituzione su tutto il territorio nazionale di Spa sia a capitale privato, che misto, che pubblico per la proprietà degli impianti idrici.
10 - Scioglimento a breve scadenza delle aziende private nazionali, regionali o locali costituite sul territorio italiano per la gestione del servizio idrico integrato e degli impianti.
11 - Rifondare come aziende di diritto pubblico e su basi non clientelari le municipalizzate trasformate in Spa. Che si preveda per esse il rafforzamento dell'organico, con operai a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato e con contratti del pubblico impiego e a tempo indeterminato, prevedendo il divieto di cessione di ramo d'azienda e di esternalizzazione dei servizi.
12 - Laddove esistano già delle Spa, siamo, per il momento, favorevoli alla soluzione della gestione in house del servizio idrico integrato, con l'obiettivo però di superare a breve scadenza anche questa forma di gestione privatistica e ottenere l'assegnazione a società di diritto pubblico.
13 - Obbligo per le Spa di svolgere attività e reinvestire solo a livello dell'ATO di appartenenza.
14 - Divieto di stabilire riscatti di qualsiasi entità a carico degli Enti pubblici italiani per la rescissione di contratti con gestori privati dei servizi idrici.
15 - Obbligo da parte delle Spa di risarcire finanziariamente le amministrazioni locali in caso di servizio giudicato inadeguato allo scadere del tetto massimo temporale di concessione.
16 - Procedura legale d'ufficio nei confronti di quelle Spa che abbiano provocato danni alle risorse idriche o agli impianti che hanno gestito in concessione.
17 - Abbassare a un anno il tetto massimo temporale di concessione dei servizi idrici integrati in Italia alle Spa, per evitare le situazioni paradossali di concessioni che arrivano fino a trent'anni senza possibilità di revoca da parte delle amministrazioni locali.
18 - Divieto di applicare sul territorio nazionale italiano la direttiva Bolkestein, di Gats e le normative europee riguardanti la privatizzazione dei servizi alle masse popolari.
19 - Laddove sia chiaro che gli ATO sono stati delimitati su basi elettoralistiche e clientelari, si provveda al loro scioglimento e alla loro eventuale ricostituzione, secondo uno schema tecnico-scientifico che salvaguardi il rispetto dei bacini idrici, la protezione delle risorse idriche e del suolo e garantisca un regime di massimo risparmio delle risorse.
20 - Massima pubblicizzazione dei documenti degli ATO e delle società di diritto pubblico o privato che gestiscono il servizio idrico integrato sul territorio nazionale.
21 - Massima pubblicizzazione ai Piani di Bacino sui quali le masse devono avere l'ultima parola.

Diritto delle masse popolari residenti sul territorio nazionale ad usufruire dell'acqua:
22 - Diritto universale all'acqua per le masse popolari residenti sul territorio nazionale.
23 - Piani straordinari, con relativa copertura finanziaria, per garantire in quantità sufficiente l'afflusso e i rifornimenti dell'acqua potabile in tutti i centri abitati, specie al Sud e nelle Isole.
24 - Prevedere una soglia minima di erogazione di 100 litri di acqua pro capite giornalieri per tutti.
25 - Gratuità del rifornimento di acqua, anche se il consumo supera i 100 litri, e il divieto di interruzione del servizio per operai, disoccupati, cassaintegrati, precari, pensionati sociali, studenti fuori sede, immigrati extra-comunitari, disabili, associazioni e centri sociali.
26 - Divieto di interruzione del servizio da parte delle aziende fornitrici per ospedali, carceri, scuole, università, uffici pubblici.
27 - Le istituzioni competenti stabiliscano tariffe nazionali uniche e progressive in base al reddito ed ai consumi effettivi. Gratuità per i consumi sotto i 100 litri.
28 - Obbligo per le aziende pubbliche o private che gestiscono attualmente il servizio, di prevedere un piano di distribuzione tramite auto-cisterne e senza costi aggiuntivi in caso di interruzione del servizio per guasti.
29 - Previsione di analisi periodiche batteriologiche, da parte delle amministrazioni comunali, dell'acqua potabile e per la pubblicizzazione dei dati risultanti.
30 - Ripubblicizzazione della gestione e della distribuzione delle acque minerali sul territorio italiano. Divieto assoluto di imbottigliamento a fini di lucro dell'acqua dalle sorgenti e dall'acquedotto, e previsione delle stesse analisi e livelli qualitativi per le acque minerali e le acque potabili degli acquedotti.
31 - Divieto di privatizzare le acque termali sul territorio nazionale. Ripubblicizzare laddove siano state privatizzate, e istituire la gratuità dei servizi termali.
32 - Divieto di privatizzare sotto qualsiasi forma le spiagge e le coste nazionali.

Gestione delle strutture e degli impianti in Italia e contratti dei lavoratori del settore idrico:
33 - Inserire nei piani urbanistici la ricostruzione delle reti idriche e fognarie sulla base delle reti duali per garantire condizioni di potabilizzazione e pressione sufficiente nelle tubature dell'acquedotto e il risparmio delle risorse idriche. Completare, ammodernare i depuratori e le reti idriche cittadini (adduzione, captazione, trattamento e distribuzione e riciclo dell'acqua potabile). Stanziare fondi pubblici sufficienti per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti idrici.
34 - Completare e rifare con fondi pubblici e con criteri aggiornati le fognature, per garantire condizioni di massima sicurezza igienica.
35 - Analisi periodiche e batteriologiche, da parte delle amministrazioni comunali, dell'acqua potabile e pubblicizzazione dei dati risultanti.
36 - Completare e ammodernare tutte le dighe e opere di canalizzazione incompiute sul territorio nazionale, attraverso procedura ordinaria, prevedendo protocolli di trasparenza e legalità e privilegiando, in ordine temporale, il Mezzogiorno.
37 - Estromissione dai lavori già avviati nel settore idrico, o previsti, degli imprenditori inquisiti o condannati per mafia e delle società che abbiano nei CdA inquisiti o condannati per reati di mafia o corruzione.
38 - Soppressione dei progetti per i dissalatori.
39 - Escludere le aziende private dai progetti di costruzione e gestione dei dissalatori.
40 - Rafforzamento delle maestranze in organico nei servizi idrici, con operai a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato e con contratti a tempo indeterminato.
41 - Assunzione stabile e a salario intero di tutti i lavoratori socialmente utili impiegati nelle società fornitrici di servizi idrici sul territorio nazionale.
Protezione, risparmio ed incremento delle risorse idriche nazionali:
42 - Istituzione di un Ente nazionale pubblico con compiti di elaborazione di Piani di protezione e di coordinamento degli usi delle risorse idriche sul territorio italiano e che metta in atto iniziative per combattere ed appianare le enormi disparità di accesso all'acqua tra Sud e Nord.
43 - Piano nazionale straordinario, finanziato dallo Stato, per la protezione e il recupero dei mari, dei fiumi, dei laghi, delle coste, del suolo e delle risorse idrogeologiche delle zone a grave rischio ambientale. Potenziare gli investimenti e le strutture operative per la difesa e il risanamento dell'ambiente, per combattere il dissesto idrogeologico, la cementificazione selvaggia e il disboscamento, l'inquinamento dell'aria, dell'acqua e del territorio.
44 - Piani straordinari nazionali per recuperare i grandi corsi d'acqua, il Po, l'Arno, il Tevere, ecc.; risistemare i loro alvei; favorire il normale scorrimento delle acque e la navigabilità; ripulire e ricoltivare la vegetazione sulle rive; ripopolare la fauna ittica; contenere il formarsi delle piene ed evitare le conseguenti alluvioni.
45 - Piano nazionale e interventi contro la desertificazione del territorio del Mezzogiorno e delle Isole.
46 - Obbligo per le aziende produttive di dotarsi di strumenti tecnici previsti dalle normative contro lo sfruttamento e l'inquinamento industriale ed agricolo delle acque superficiali e sotterranee e dei mari.
47 - Dimissioni dei governatori e commissari straordinari delle regioni in cui sono stati svenduti e privatizzati i servizi idrici.
48 - Abolizione sul territorio nazionale dell'abusato strumento dell'emergenza idrica e dei relativi commissari.
49 - Approvare una normativa nazionale che abroghi la competenza esclusiva delle regioni a Statuto speciale sulle risorse idriche del proprio territorio.
50 - Requisizione e iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche di tutti i pozzi in mano alle camorra, mafia, 'ndrangheta e "sacra corona unita".
51 - Divieto alle basi Usa e Nato sul territorio italiano di tenere armamenti inquinanti, attualmente o potenzialmente, per le risorse idriche superficiali, sotterranee e per i mari italiani.
52 - Introdurre un limite massimo di rifornimento di 150 litri a testa al giorno per usi non produttivi.
53 - Introdurre norme legali di natura penale per combattere lo spreco di acqua per puro lusso.
54 - Piano nazionale per la lotta al contrabbando delle risorse idriche.
55 - Introduzione di norme legislative nazionali funzionali al risparmio idrico e per la promozione, attraverso partecipazioni statali, di impianti idrici in regime di risparmio, come reti duali, sistemi di riciclaggio delle acqua reflue, ecc.
56 - Divieto di rifornimento delle preziose risorse idriche delle masse popolari italiane alle basi Nato e Usa sul territorio nazionale, dal momento che verranno sprecate per attività militari di natura imperialista e per i comprovati sprechi e lussi dei militari.
57 - Censimento su tutto il territorio nazionale dei grandi pozzi privati e loro inserimento negli elenchi delle acque pubbliche.
58 - Individuare nuove falde acquifere, creare invasi appositi per la raccolta di riserve d'acqua e il rifornimento adeguato dei centri urbani.
59 - Promuovere una corretta informazione nelle scuole di ogni ordine e grado sulle cause e le conseguenze della privatizzazione dell'acqua e sulle modalità di protezione e risparmio della risorsa.

Gestione in risparmio delle acque destinate ad usi industriali e agricoli:
60 - Piano nazionale di riequilibrio degli usi della risorsa idrica in base ai fabbisogni potabili, agricoli, industriali ed energetici delle varie regioni e province.
61 - Interventi per la riduzione delle perdite nell'irrigazione attraverso l'ammodernamento delle reti di irrigazione in tutto il territorio nazionale, a partire dal Mezzogiorno, e degli sprechi nell'irrigazione attraverso procedure di risparmio mirate ai diversi tipi di coltivazione.
62 - Misure nazionali destinate a combattere lo spreco e l'abusivismo riguardante l'acqua utilizzata a fini produttivi.
63 - Promuovere l'uso in agricoltura e industria di acque reflue riciclate e depurate.

L'Ufficio politico del PMLI

Firenze, 21 giugno 2005 
 

NOTE
1. Marx, Il Capitale, libro terzo, Editori Riuniti, pag. 883-884
2. Lenin, L'imperialismo fase suprema del capitalismo, Editori Riuniti, pagg. 120-121
3. Documento dell'Ufficio politico del PMLI, 16 settembre 2001, dal titolo "La posizione del PMLI sul movimento antiglobalizzazione". Vedi, "Il Bolscevico" n. 35/2001
4. Marx, Il Capitale, libro terzo, Editori Riuniti, pagg. 886-887